Bolkestein, la direttiva mostro

C’era una volta l’Europa, ora c’è la direttiva Bolkestein. Che ha uno scopo ben preciso: «quello di stabilire un quadro giuridico che elimini gli ostacoli alla libertà d’insediamento dei prestatori di servizi e alla libera circolazione dei servizi in seno agli Stati membri». Tradotto: se la direttiva passerà in Parlamento così come è stata pensata dalla Commissione europea del mercato interno e della concorrenza – e adottata quasi in corpore dal Consiglio dei ministri – si cancelleranno con un colpo di spugna tutte le legislazioni nazionali che proteggono non solo il proprio mercato ma anche i lavoratori indigeni. Altro che bilaterali II… Mentre i governi neoliberali si compiacciono della nuova linfa al libero mercato i movimenti sociali europei hanno indetto sabato 19 marzo una giornata di protesta a Bruxelles contro quella che mira ad essere una vera e propria “direttiva mostro” per i lavoratori. «Il mercato unico europeo è stato un incredibile motore di crescita economica e di benessere sociale. Ma il suo potenziale non è sfruttato a dovere: è come se tenessimo al guinzaglio della seconda marcia una fuoriclasse come la Ferrari», così si è espresso Frits Bolkestein – il Commissario europeo per la Concorrenza e il Mercato interno dell’uscente commissione Prodi e padre della direttiva che porta il suo nome – quando gli è stato chiesto di fare un bilancio di 10 anni di mercato unico nell’Unione europea. Con la sua direttiva Bolkestein passa ora però direttamente in quinta. Se gli Stati membri non rispettano le regole del mercato unico europeo (vedi grafico a lato) è arrivato il momento di fare terra bruciata e ricominciare da zero, deve aver pensato l’economista olandese. Addio quindi alle vecchie regole. Il nuovo quadro legislativo pensato per l’economia della vecchia Europa mira infatti ad eliminare alla radice ogni tipo di ostacolo che i governi potrebbero mettere in atto per proteggere il proprio mercato interno, protezione dei lavoratori compresa. Vi facciamo il “servizio” Nell’occhio della liberalizzazione c’è il settore dei servizi continentale che «ha un notevole potenziale di crescita e di creazione di posti di lavoro che non ha potuto concretizzarsi a causa dei numerosi lacci posti dagli Stati membri al suo sviluppo», fa notare la Commissione europea nel testo della direttiva proposta a Parlamento e Consiglio. Ma quali sono i servizi che verranno liberalizzati? «Ogni attività economica che si occupa della fornitura di una prestazione oggetto di contropartita economica» è la risposta contenuta nella direttiva quadro. Ciò significa che è “servizio” qualsiasi attività – ad eccezione del lavoro retribuito tra datore di lavoro ed impiegato – che ha una contropartita in denaro. Spieghiamoci meglio. Nel mercato unico verrà aperta alla concorrenza tutta una serie di prestazioni che vanno dall’imbiancatura di un muro fino anche «ai servizi alla salute, come il sostegno alle persone anziane e parte dell’educazione non di base…». La lista è lunga e abbraccia attività quali la consulenza gestionale, le società di sicurezza, quelle delle pulizie, la pubblicità, le agenzie di collocamento comprese le interinali, il noleggio di automobili, le agenzie turistiche, la consulenza giuridica, quella fiscale, le agenzie immobiliari, l’edilizia, i lavori artigianali (carpentieri, pittori, idraulici, falegnami,…), ecc. Tutte queste attività possono essere considerate servizi secondo la definizione data dalla Commissione: sono infatti oggetto di una contropartita in denaro. Spingendosi un po’ più in là si potrebbe includere in questa ampia – e volutamente non ben definita – categoria anche la cultura. È facile immaginare a questo punto quale sia l’enorme portata di questa direttiva se, come auspicato dalla maggioranza degli Stati membri per il tramite dei loro ministri in seno al Consiglio, anche il Parlamento europeo dovesse dare il proprio benestare. Abuso fin dalle origini Ma il vero nocciolo duro – e la benzina al motore della liberalizzazione – della direttiva Bolkestein risiede nel “principio del paese d’origine”. Al fine di eliminare gli ostacoli alla libera circolazione dei servizi la Commissione propone che il prestatore venga sottoposto unicamente alla legislazione del paese in cui è stabilito, i 10 nuovi membri dell’Est compresi. In questo modo un’impresa edile polacca o lituana non dovrà chiedere alcun permesso per poter operare in Germania se ha già ottenuto il via libera nel proprio paese. La Germania non potrà «imporre alcuna restrizione ai servizi forniti da un prestatore stabilito in un altro Stato membro». Supponiamo ad esempio che il contratto collettivo di settore tedesco imponga degli standard di sicurezza come l’utilizzo di un certo tipo di impalcatura. Secondo la direttiva Bolkestein questa norma di sicurezza è già una restrizione e sarebbe quindi fuorilegge. L’impresa polacca avrà il diritto di utilizzare i metodi di lavoro del proprio paese d’origine e di lavorare senza quello speciale tipo d’impalcatura. Distaccati e abbandonati Ma non solo. L’impresa polacca avrà anche il diritto di operare con i propri lavoratori distaccati temporaneamente. Anche in questo caso varrà il principio del paese d’origine, salari e prestazioni sociali comprese. Ma la messa a concorrenza fra i prestatori di servizi non finisce qui. Nulla vieterà ad esempio ad un’agenzia di collocamento interinale tedesca di spostare la propria sede in uno dei 10 paesi dell’Est e di mandare i lavoratori nell’Europa dei 15. Con il pretesto di evitare inutili scartoffie burocratiche il progetto di direttiva prevede anche che a controllare il distaccato polacco in Germania sia un ispettore del paese d’origine. Gli scenari sono davvero molteplici: i fautori di Bolkestein non vogliono neppure più vincoli per le imprese che vorranno delocalizzare negli Stati membri. Le aziende potranno portare la propria sede in paesi che offrono una bassa protezione del lavoratore per poi operare magari proprio nel paese da cui si è espatriato con lavoratori distaccati. 2010, odissea economica L’obiettivo dichiarato dai sostenitori della direttiva è quello di arrivare entro il 2010 all’eliminazione dei «lacci» del mercato interno per poter raggiungere le riforme avviate a Lisbona nel 2000. La fenice dell’economia europea deve rinascere dalle proprie ceneri, dicono, e la strategia è improntata alla massima concorrenza sia fra lavoratori – precarizzati con effetti collaterali pesanti negli ultimi 10 anni (vedi area del 25 febbraio scorso) – che fra le imprese dei vari Stati membri. «Vogliamo creare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo», si legge nel testo di direttiva del commissario Bolkestein. Intanto il 19 marzo prossimo a Bruxelles si sono dati appuntamento movimenti sociali e sindacati dell’intero continente (compresa la Svizzera che non sarà al riparo dalle politiche europee, vedi articolo sotto) per combattere questo progetto di direttiva – in stadio già avanzato – che il Parlamento europeo discuterà verosimilmente nel corso del 2005. Pesanti conseguenze anche per la Svizzera Non è ancora fuoco, ma la prospettiva è decisamente rovente. Se la direttiva Bolkestein passerà senza modifiche attraverso le maglie del Parlamento europeo la Svizzera non si salverà dall’ondata di liberalizzazione economica. A sostenerlo il sindacalista Unia Gabriele Milani nell’incontro, tenutosi mercoledì, del Consiglio sindacale interregionale Ticino-Lombardia (Csi). Il Csi manderà una quindicina di persone a Bruxelles a manifestare contro quella che si prospetta essere una vera stangata per i lavoratori, anche per quelli svizzeri. Gabriele Milani, perché mobilitarsi contro la direttiva proposta dal Commissario Bolkestein? In fondo la Svizzera gode dei trattati bilaterali. Se la direttiva verrà approvata come proposta da Bolkestein le ripercussioni saranno forti sulla libera circolazione delle persone e in particolare sulle misure d’accompagnamento. È ingenuo pensare che la Svizzera potrà sottrarsi allo scenario della libera concorrenza su tutti i fronti. Quali sono i pericoli in vista? Il governo svizzero si è impegnato a introdurre la libera circolazione delle persone a patto che non vi sia dumping sociale e salariale. Ora l’Unione europea sta facendo i primi passi con quella che vuole essere una vera e propria ondata di privatizzazione e di messa in concorrenza anche di servizi fondamentali, come l’istruzione, la sanità ed altri (vedi articolo sopra, ndr). Quindi con la direttiva Bolkestein si vuole il dumping per togliere ogni tipo di barriera al libero commercio. Ma torniamo alla Svizzera, con i bilaterali II si vogliono assumere 150 ispettori in più che vigilano sulla protezione dei lavoratori distaccati. Il principio del paese d’origine della direttiva europea prevede invece che i controlli vengano fatti dal paese d’origine. Che chiaramente non ci saranno. Su suolo elvetico ci ritroveremo in una situazione astrusa, la protezione messa in atto da noi verrebbe gradualmente smantellata. Ma la catena non finisce qui. Non serviranno a niente neppure i contratti collettivi di lavoro elvetici perché varranno le disposizioni Ue. Non avranno valore neanche le norme di sicurezza in vigore da noi. Si tratta di una vera anarchia totale tutta a vantaggio del mondo del business. Ho l’impressione che si sta costruendo l’Europa del capitale e non quella dei cittadini e della società che hanno costruito.

Pubblicato il

11.03.2005 02:00
Can Tutumlu