A Londra sono attese oltre un milione di persone per la manifestazione di domani contro la guerra in Iraq. Ma gli organizzatori affermano che il numero dei partecipanti potrebbe essere superiore di almeno cinquecentomila unità. Negli ultimi giorni voci di disappunto si sono levate in tutto il paese contro la posizione di Tony Blair, promotore di un intervento armato a fianco degli Stati Uniti, rinsaldando il fronte degli “anti-war” inglesi. Venerdì scorso il primo ministro britannico ha ammesso che alcuni fascicoli del famoso “dossier against Iraq” erano stati “gonfiati” e che altri contenevano errori. I documenti dovevano riportare le prove della “non collaborazione” del regime iracheno con gli ispettori delle Nazioni Unite. Il giorno precedente, Tony Blair era stato preso a pesci in faccia dal pubblico, durante la trasmissione Newsnight della Bbc. Alcuni elettori inglesi, invitati in studio dal popolare presentatore Jeremy Paxman, hanno bollato il primo ministro come il “barboncino” di George W. Bush. Non è nuova l’allusione alla “fedeltà canina” di Tony Blair nei confronti del presidente statunitense. Ma questa volta la critica ha avuto l’effetto di uno schiaffo. Con “la coda tra le gambe” il primo ministro ha ammesso una certa difficoltà ad ottenere il consenso degli inglesi su un attacco armato contro l’Iraq. L’opposizione alla guerra è palpabile anche nelle strade, nei pub e bar londinesi, non soltanto negli studi di un canale televisivo, nelle radio, o nelle pagine dei giornali, dove sono frequentissime le proteste dei lettori. Cresce l’onda dello scetticismo anche nelle regioni del nord e del centro della Gran Bretagna. Intanto il ministro della Difesa, Geoff Hoon, ha impegnato un terzo degli aerei della mitica Raf (Royal Air Force) e innalzato a 42 mila il numero di soldati che, in caso di invasione, saranno inviati in Iraq. Le stime del costo dell’intervento britannico hanno fatto venire l’ulcera a numerosissimi contribuenti britannici che, anche su questo punto, hanno tenuto a far conoscere il loro disappunto. Un anno di guerra costerebbe, infatti, circa 3,2 miliardi di sterline (7,3 miliardi di franchi!) a cui si aggiungerebbe una quota di 2,4 miliardi (5,5 miliardi di franchi) per le spese di ricostruzione e per il mantenimento della sicurezza in Iraq dopo la fine di un eventuale conflitto. Queste cifre da capogiro comprendono i costi derivanti dall’assistenza umanitaria, la decontaminazione dei terreni, la costruzione di basi militari e ospedali per i primi soccorsi alla popolazione civile. Alcuni non hanno omesso di osservare come anche i capitoli di spesa “umanitari” possano essere stati “gonfiati”, come alcuni fascicoli del dossier iracheno, per far meglio ingerire ai cittadini britannici la pillola dell’impegno finanziario.

Pubblicato il 

14.02.03

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