La Svizzera deve dotarsi di nuove misure per proteggere i propri livelli salariali e garantire il servizio pubblico per scongiurare il “grave e inaccettabile deterioramento” che in questi ambiti provocherebbe l’adozione dei nuovi accordi bilaterali tra la Svizzera e l’Unione europea, i cui negoziati si sono conclusi in dicembre. Questa, in estrema sintesi è la posizione dell’Unione sindacale svizzera (USS), esposta in una risoluzione adottata oggi dai delegati delle diverse federazioni riuniti a Berna in un’assemblea straordinaria. Un’assemblea che non era chiamata ad esprimere un giudizio definitivo sui cosiddetti Bilaterali III (il cui testo non è peraltro ancora stato pubblicato) ma ad analizzare, sulla base delle informazioni disponibili, gli effetti delle previste misure di liberalizzazione del mercato del lavoro, di quello dell’elettricità e dei trasporti e ad elaborare una serie di rivendicazioni da indirizzare alla politica e al padronato. «Siamo qui per dire cosa vogliamo e cosa non vogliamo», ha sintetizzato il presidente dell’USS Pierre-Yves Maillard rinviando alla fine dell’iter parlamentare «una decisione definitiva» da parte del’USS e delle venti organizzazioni sindacali che riunisce. L’intesa negoziata dal Consiglio federale presenta dei «passi in avanti rispetto all’Accordo quadro» naufragato nel 2019, ma «restano elementi di arretramento in materia di protezione dei salari», ha sottolineato Maillard. Essa -si legge nella risoluzione- “rimette in questione parti importanti” della legislazione in vigore. Una questione centrale per un paese con i livelli retributivi più alti d’Europa e su cui si intravvedono “peggioramenti sostanziali” nella nuova intesa con l’UE. Innanzitutto decadrebbe quasi interamente la cauzione a carico delle imprese, che in caso di dumping salariale può essere trattenuta come multa (difficile da andare a riscuotere in un altro paese): «Se scompare la cauzione o viene mantenuta solo nei casi di recidiva, viene meno anche l’effetto preventivo della norma», ha affermato la presidente di Unia e vicepresidente dell’USS Vania Alleva; “seriamente in pericolo” è anche la norma che consente di emanare il divieto di offrire servizi in Svizzera, che attualmente tiene alla larga 500-1000 imprese semi-criminali o non cooperative”; particolarmente “problematica” è poi la regolamentazione europea in materia di spese, perché le imprese estere attive in Svizzera sarebbero tenute a rimborsare ai lavoratori le spese per il vitto e l’alloggio secondo gli standard del paese d’origine e dunque senza tener conto dei costi in Svizzera: “Non solo i lavoratori ci perderebbero molto (fino a 2000 franchi al mese), ma anche le loro condizioni abitative e la sicurezza sul lavoro ne risentirebbero. Se i lavoratori non hanno abbastanza soldi, dovranno dormire e mangiare nei furgoni o nei cantieri”, si sottolinea nella risoluzione; e infine c’è la questione della riduzione da 8 a 4 giorni del termine di notifica dei lavoratori distaccati che svolgono attività lucrativa in Svizzera di breve durata, che “renderebbe i controlli ancora più difficili”. Tutto questo, si legge nella risoluzione, “non solo indebolirebbe la protezione dei salari, ma renderebbe anche molto più facile l'accesso al mercato svizzero per le aziende, in particolare per gli imbroglioni e i truffatori”. Cresce dunque il bisogno di agire sul fronte della protezione dei salari, “per rafforzarla e non per indebolirla”. Di qui la rivendicazione di tutta una serie di misure di politica interna per correggere il “grave deterioramento” connesso ai Bilaterali III: si tratta in particolare di fare in modo che in futuro vengano assegnati mandati soltanto alle aziende che pagano salari corretti, introducendo il principio della “responsabilità del cliente”, al quale va dato accesso ai dati sui controlli salariali effettuati; servono poi “strumenti più vincolanti per garantire che le aziende dubbie paghino i salari giusti” accollando per esempio agli appaltatori le multe inflitte alle sue aziende subappaltanti in caso di mancata verifica preventiva; si propone poi di facilitare l’accesso delle commissioni paritetiche alle notifiche dei lavoratori distaccati così che possano “pianificare ed effettuare i controlli necessari in tempo utile”; per quanto riguarda il regime di rimborso delle spese, l’USS chiede al Consiglio federale di rinegoziare questo punto degli accordi con l’UE o di inserire nel diritto svizzero in principio che ai lavoratori vanno rimborsate le spese secondo i prezzi applicati in Svizzera; vanno poi allentate le condizioni per dichiarare un contratto collettivo di lavoro di obbligatorietà generale, così come va rafforzata la protezione dal licenziamento, soprattutto nel settore del lavoro temporaneo. «Purtroppo finora le associazioni padronali si rifiutano di discutere di misure compensatorie. Questo blocco mette a rischio gli accordi», ha osservato Vania Alleva, sottolineando la «posizione cristallina» dell’Unione sindacale «in favore della libera circolazione e della protezione dei salari e contro la discriminazione». Servizio pubblico a rischio Ma il nuovo accordo negoziato con Bruxelles prevede anche la liberalizzazione totale del mercato dell’elettricità, che andrebbe a “indebolire seriamente il servizio pubblico: al posto dell’attuale sistema dell’approvvigionamento di base garantito, alle economie domestiche e alle piccole imprese resterebbe un disfunzionale modello di "libera scelta", scrive l’USS, richiamando il rischio della stabilità dei prezzi sul lungo termine. Di qui l’opposizione del fronte sindacale al progetto e il sostegno alla proposta del Consiglio federale di trattare separatamente il dossier. Per quanto riguarda infine l'eventuale apertura del trasporto ferroviario internazionale di passeggeri, l'USS chiede che la Svizzera possa attuare le garanzie negoziate in piena autonomia. “Il modello di cooperazione deve rimanere possibile, l'integrazione tariffaria deve essere debitamente garantita e l'assegnazione delle linee ferroviarie deve rimanere in mani svizzere. Infine, le condizioni salariali e lavorative svizzere devono essere garantite in ogni momento”, si legge nella risoluzione adottata dai delegati, con alcuni adattamenti decisi durante l’assemblea odierna. Maillard: la base non ci chiede di essere più morbidi Un’assemblea segnata da numerosi interventi. Per esempio per puntualizzare alcune affermazioni contenute nel documento, come ha fatto il vicepresidente dell’USS Ticino e Moesa Giangiorgio Gargantini per relativizzare la dichiarata efficacia delle misure accompagnatorie alla libera circolazione delle persone attualmente in vigore: «Non sono state ugualmente efficaci in tutte le regioni di paese», ha affermato snocciolando alcuni dati significativi sulla situazione economica in Ticino, dove «i salari sono inferiori del 20% rispetto al resto della Svizzera e dove vi lavorano 80.000 frontalieri (su 240.000 lavoratori totali) che percepiscono salari inferiori del 20% rispetto ai residenti». Un quadro che si completa con i dati del recente studio Eurostat, «secondo cui il 35% vive in stato o è a rischio di povertà, come regioni del Sud Italia e del sud della Spagna», ha osservato Gargantini. Dai delegati sono giunte anche numerose proposte (che in parte sono state integrate nella risoluzione) che andavano nella direzione di rivendicare misure più incisive a garanzia della protezione dei salari e del servizio pubblico. «La base non ci chiede di essere più morbidi», ha concluso il presidente Pierre-Yves Maillard. Un messaggio chiaro rivolto soprattutto all’esterno in vista del confronto dei prossimi mesi e dei prossimi anni. |