Bertinotti

Ho l’impressione che la politica del mondo, quello dei paesi ricchi che detengono per ora una fetta determinante del potere economico, stia diventando sempre più bipolare. O governa la destra ispirata dai “neocon” o la sinistra che di ispirazioni ne ha molte, troppe. La destra il potere che detiene vuole esercitarlo con le buone o con le cattive. Soprattutto vuole moltiplicare i propri affari e per realizzare questo suo obiettivo primario non disdegna di mettere il mondo (quello dei paesi poveri) a ferro e fuoco, di scivolare nel populismo e nella demagogia, di ingannare e di corrompere, di far pagare prezzi a volte disumani ai più deboli, di creare serie minacce all’equilibrio ecologico e al patrimonio culturale della umanità. La sinistra vorrebbe coniugare sviluppo economico, giustizia sociale, democrazia, sensibilità ambientale e rispetto della dignità di ogni individuo. Ma è stretta tra l’incudine di una economia globalizzata e debole e il martello delle legittime rivendicazioni sindacali e delle altrettanto legittime aspirazioni dei paesi emergenti. Due visioni del mondo diverse, con personalità e valori profondamente diversi nei due campi. La sinistra non ha certo la bacchetta magica e per ora non ha neppure una strategia globale: ciononostante, quando è al potere mi sembra più realista, meno ideologica della destra nel senso che è più prudente, più attenta alla complessità della società per cui combina meno guai. Tuttavia, per passare dalla prudenza a una leadership a livello internazionale ha bisogno di completare la sua ancora insufficiente cultura di governo e di dialogare con la base elettorale in modo trasparente, rifuggendo dalla demagogia anche quando può costare la perdita temporanea di consensi. In una parola ha bisogno di confronto, di discussione, ma poi – una volta fatte le scelte – ha bisogno di unità. È quello che sembrerebbe aver capito anche Bertinotti quando afferma (cfr. la Repubblica del 2 settembre u.s.) che per la prossima sfida contro il Polo «il nome di Prodi è fuori discussione». Una affermazione importante che appare tuttavia isolata nel contesto dell’intervista dalla quale emerge invece quello che mi sembra un inquietante complesso di superiorità. Faccio 3 esempi: 1. Richiesto di dire come si comporterebbe nel caso in cui nelle “primarie di programma” (da lui richieste) uscissero soluzioni diverse da quello che lui ha sostenuto risponde che, grazie ai movimenti e alla sinistra Ds, «una ipotesi del genere è fuori dalla realtà». E se si sbagliasse ? 2. Richiesto se «considera la rivolta di Acerra all’interno delle lotte sociali e democratiche avanzate» risponde «Certamente». Senza se e senza ma. 3. Richiesto se in Usa voterebbe per Kerry o per Nader risponde per Kerry perché «ha fiducia che il grande movimento pacifista possa costringerlo a posizioni più avanzate di quelle espresse finora», ma che «nella passata tornata elettorale tra Al Gore e Nader avrebbe votato per Nader». In parole povere quindi non solo ha spianato la strada a Berlusconi, ma, se ne avesse avuto l’occasione, l’avrebbe spianata anche a George W. Bush. Se fossero questi i sentimenti con i quali si cerca di costruire l’unità a sinistra in Italia, ma anche altrove, ci sarebbe poco da stare allegri.

Pubblicato il

10.09.2004 14:00
Pietro Martinelli