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Berlusconismi sventati
di
Tita Carloni
La nuova ricetta italiana (ma non soltanto) per salvarci dalle malefatte dello Stato è privatizzare: enti, aziende, istituti, scuole, musei, monumenti,... Questa tendenza è forte anche da noi ma non ha però ottenuto sinora grandi successi. Nella votazione sui sussidi alle scuole private il popolo non ha abboccato. Più in piccolo a Camorino, qualche mese fa, un affare di monumenti è terminato piuttosto bene. Su quelle colline esistono cinque torrette tonde denominate i "fortini della fame". Furono costruite nel 1853 "onde alleviare la miseria dei nostri patrioti cacciati dalla Lombardia". Il maresciallo Radetzky aveva in effetti espulso di colpo dal Lombardo-Veneto circa 6000 ticinesi, per rappresaglia contro gli aiuti morali e materiali che il governo radicale di allora cercava di dare ai moti risorgimentali. I fortini appartennero prima alla Confederazione e poi, dal 1947 al Cantone, che non se ne occupò più di tanto consentendo appropriazioni abusive e tollerando l’incuria. Ma alcuni mesi fa una grossa ditta del luogo che produce vini ha inoltrato una domanda di costruzione per fare in uno dei fortini un luogo di esposizione, di degustazione e di promozione dell’immagine della ditta. Uso privato al 100 percento. Alcuni cittadini di Camorino sono insorti e hanno fondato un’Associazione per i fortini, rivendicandone l’uso pubblico e sollecitando l’intervento attivo dello Stato. La domanda di costruzione privata fu ritirata. La storia, locale fin che si vuole, è esemplare e merita di essere segnalata per diversi motivi. Non è auspicabile che i privati si approprino di fatto dei monumenti di proprietà pubblica a scopi di uso proprio e di promozione commerciale, sia pure con investimenti cospicui. Ciò potrebbe significare che l’ente pubblico non è più in grado di far fronte all’impegno storico di curare in proprio il patrimonio culturale del paese. In secondo luogo la vicenda di Camorino insegna che la tutela del patrimonio storico è sì compito dello Stato e dei suoi funzionari ma lo è, si potrebbe dire soprattutto, della popolazione che vive sul territorio, in contatto quotidiano con questi beni. Nessuna sia pur ben organizzata vigilanza ufficiale sostituirà mai l’occhio amoroso di chi percorre luoghi e sentieri quasi ogni giorno. Ci si può inoltre chiedere per quale motivo le nuove e vitali attività economiche, di cui nessuno mette in dubbio l’utilità, debbano per forza ricorrere alle vestigia del passato, sovente povero, per darsi una patente di nobiltà. Facciano, se necessario, del nuovo e lo facciamo bene, con la cultura e i mezzi del nostro tempo, dimostrando di essere creativi non solo sul piano della produzione ma anche su quello della progettazione. Qualche buon esempio non manca. O dovremo un giorno veder privatizzati anche i campanili?
Pubblicato il
25.05.01
Edizione cartacea
Anno IV numero 18
Rubrica
Architettura
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