Svegliarsi senza la fastidiosa sensazione di dover correre per non far tardi al lavoro. Restare a letto a giocare con i propri figli o sorprendersi a sorridere pensando in che modo riempire la giornata. Staccare la spina dagli affanni quotidiani per qualche giorno e godersi quei preziosi momenti con i propri cari o dedicarsi al dolce far niente o alle proprie passioni, è di certo una gran bella prospettiva. A questo servono le vacanze. Via dunque martello e cintola, via la tuta, giù la penna e spenti i computer; tutti e tutte a far quel che ci pare. Si riempiono le spiagge marittime e i rifugi di montagna, le rive dei fiumi e le sponde dei laghi. Tutti a godere di quella natura che tanto bistrattiamo. Benedette vacanze. Sospirate durante l'anno, finalmente si materializzano. Nonostante il lavoro sia più che mai centrale nella società attuale, il diritto all'ozio riscopre la sua funzione e viene glorificato dal popolo dei vacanzieri. C'è chi sostiene che siamo nati per lavorare, per sudare. Preferiamo dar ragione a coloro che dicono che lo scopo ultimo è godere della vita, non subirla. La sensazione di poter avere del tempo a disposizione, di scegliere come impiegarlo, fa stare bene. Per questo amiamo le vacanze. Oltre un secolo fa gli operai rivendicavano 8 ore di lavoro al giorno. Cento anni sono passati e la settimana lavorativa media è ancora di 42 ore e mezzo. Poco tempo per la famiglia e per la vita sociale, un po' di tv e tanto tempo-lavoro, sempre più sotto il ricatto della flessibilità. Per un certo periodo ci siamo illusi di essere all'alba di una nuova era, quella del non-lavoro. Grazie alle nuove tecnologie tutti lavoreremo meno, si diceva. Poi il brusco risveglio nella realtà di un lavoro diventato sempre più opprimente. "È la globalizzazione, bellezza" si ripete per giustificare l'arretramento dei diritti e delle condizioni di lavoro. Le leggi del mercato lo impongono. E allora si fa a gara a chi offre le condizioni peggiori perché, si dice, è l'unico modo per restare competitivi. Non solo il tempo è stato lentamente eroso, ma anche i soldi sono diminuiti. «Nell'eterna lotta fra capitale e lavoro, fra profitti e salari, il capitale ha continuato a mangiare la fetta di torta che il lavoro si era ritagliato nella ricchezza mondiale», ha scritto Maurizio Ricci, professore di diritto del lavoro, su Repubblica del 28 aprile. Negli ultimi 25 anni, la fetta del lavoro sulla ricchezza è diminuita dal 68,34 per cento del 1980 al 61,52 per cento del 2005. Ma ora non pensiamoci. Gustiamoci per qualche giorno la bella sensazione del tempo a nostra disposizione. Quando saremo ritornati al ritmo quotidiano dettato dal lavoro, ci farà piacere ricordare quell'ora d'aria estiva. A memoria di quanto sia importante difendere con forza il nostro tempo e la nostra fetta di ricchezza. Buone vacanze. |