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Basta scaricare gratis i costi delle cure sulle donne

Il lavoro di cura è un tema femminista. Lo ribadisce la storica Simona Isler, ricordando che le donne assistono familiari senza essere retribuite per un valore di 244 miliardi di franchi all'anno, contro i 167 versati dallo Stato. 

Il lavoro di cura? È un fuoco che divampa nella società e può ustionare chi lavora nel settore, ma anche chi ha bisogno di prestazioni socio-sanitarie. Non solo, e questo “non solo” è drammatico, perché la situazione brucia già abbastanza di per sé, ma c’è di più. La crisi delle cure è un tema di società, ma è anche una questione femminista. Sì, perché sono state le donne, per una triste tradizione legata al dominio maschile, a essere spremute; obbligate con condizionamenti di genere a occuparsi di casa e parentado.

 

La logica dell’economia del “care” riflette questo nodo non sciolto. «Se io fornisco una prestazione infermieristica in un ospedale dietro compenso, faccio parte a pieno titolo dell’economia nazionale. Se, invece, mi occupo di mio figlio malato – almeno secondo il PIL – risulto inattiva e improduttiva». La considerazione arriva dalla storica Simona Isler intervenuta al recente seminario nell’ambito delle cure organizzato da Unia, a Vitznau, nel canton Lucerna.

La ricercatrice – invitata da Enrico Borelli e Samuel Burri, responsabili di Unia del dossier "care" – ha affrontato l’argomento all’interno del suo percorso accademico, laureandosi con la tesi “Politiche del lavoro. Prospettive del movimento femminista”, divenuto poi saggio con la pubblicazione da parte di Schwabe Verlag (2019), e per questo argomenta con la solidità di chi ha analizzato il fenomeno scientificamente.

 

Una consapevolezza dello sfruttamento delle donne che l’ha portata con la collega Anja Peter e con la sociologa Sarah Schilliger a fondare l’Ufficio per il femminismo con sede a Berna. Obiettivo? Riorganizzare il lavoro di cura per minori, malati e anziani, liberandolo dalla logica capitalistica. Per Isler, in videoconferenza con i militanti di Unia, «il sistema sanitario è rotto e va riorganizzato dal basso verso l’alto».


Che il sistema non funzioni più, lo constatiamo ogni giorno, ma a colpirci in modo particolare è stata la lettura femminista del settore delle cure: «Il settore economicamente più importante e dove non si possono fare risparmi, se si vogliono evitare conseguenze drammatiche per la società nel suo complesso». Eppure, i risparmi sono fatti in maniera sempre più cinica e sulla pelle della popolazione femminile: «Più della metà del lavoro di cura in Svizzera non è retribuito e cade proprio sulle spalle delle donne, che contribuiscono al suo funzionamento con prestazioni gratuite per una cifra stimata attorno ai 244 miliardi di franchi all’anno» ha annotato Isler. Un valore enorme, fornito gratis, che ha ripercussioni significative nella vita delle donne, le quali con il loro lavoro non pagato, «superano di gran lunga l’investimento pubblico: per le cure Confederazione, Cantoni e Comuni mettono, infatti, a disposizione 167 miliardi all’anno». Un carico impressionante, dove la «ridistribuzione del lavoro non retribuito fra i sessi non è avvenuto come previsto. Intanto nel settore, in crescita, sono impiegate circa 200mila persone, di cui l’85% è costituito da donne e dove gli stipendi non sono alti».

 

L’urgenza per la storica è sgravare le donne dalla discriminazione, che inciderà anche a livello pensionistico con rendite a buchi e insufficienti: se si lavora, si deve essere pagate. E, poi, c’è il punto – il grande interrogativo – su come sostenere le cure. La risposta? Pagando. Semplice, ma non banale, se si pensa alle implicazioni politiche e imprenditoriali

 

Simona Isler lo ha sottolineato a più riprese: il settore care diventa sempre più caro e la domanda, semmai, deve essere come finanziarlo e non come risparmiare. «Ciò cui si assiste, invece, è la pressione per contenere i costi con misure che toccano anche la riduzione di personale già sottodotato. Il sistema sanitario è caro ed è corretto che sia così. Notiamo un peggioramento delle condizioni negli ospedali, che dimettano pazienti troppo velocemente: o vengono trasferiti in strutture private o qualcuno a domicilio dovrà occuparsi di loro. Diventa, evidente, con una prospettiva di vita sempre più lunga la necessità di dotarsi di un sistema che sappia gestire i pazienti e non scaricare i costi sulle persone, e in particolare, sulle donne».

 

Isler ha osservato come sia inappropriato confrontare le cure con

altri rami professionali: «Prendiamo l’edilizia o l’industria che aumentano la produttività grazie all’automatizzazione del lavoro. Le macchine, la tecnologia, la standardizzazione hanno giocato un grande ruolo nella seconda parte del secolo scorso, permettendo di costruire più frigoriferi, più automobili, più computer. Non si possono però applicare le modalità della fabbrica nelle case anziani o negli ospedali, dove ci sarà sempre bisogno della relazione umana, che richiede tempo».

 

Già, perché, come evidenzia la cofondatrice dell’Ufficio per il femminismo, l’assistenza a neonati e bambini piccoli, prendendo uno dei tanti esempi possibili, è un chiaro esempio di attività che difficilmente consente di aumentare la produttività. Esiste un chiaro limite al numero di minori che una persona può accudire. Se questo limite viene superato, il risultato è l’abbandono della professione o la malagestione dei casi di cui ci si deve occupare: «La logica della produttività non può essere applicata, pensando di ottenere una guarigione più rapida dei pazienti o una crescita più veloce dei figli».

 

Quindi, basta tamponare riversando i costi sui pazienti o spalancando le porte al privato, ma «occorre prendere sul serio il lavoro di cura», riconsiderando nell’insieme lavoro retribuito e non retribuito: «Perché mai il deterioramento dei servizi di cura negli ospedali deve essere assorbito dalle famiglie senza compenso?».

In altre parole, per dirla con la studiosa Simona Isler, bisogna «rompere con la logica capitalistica del profitto: lo Stato deve occuparsi della salute dei cittadini».  


Ciò che parebbe logico e normale.

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Pubblicato il

12.06.2025 16:10
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