Diritto alla disoccupazione negato, una politica familiare azzoppata e revoche illegali di permessi. «Quanto salito alla ribalta mediatica in questi giorni, non è storia recente. Sono anni che denunciamo una prassi sistematica di discriminazione istituzionalizzata nei confronti delle lavoratrici e lavoratori stranieri e delle loro famiglie» ha chiarito nel suo intervento Chiara Landi del sindacato Unia oggi al presidio davanti al Palazzo dei congressi, dove si tiene la seduta del Gran Consiglio ticinese. Un presidio organizzato da un comitato unitario composto da vari gruppi politici e sindacali indetto «per il ripristino della legalità in contemporanea alla riunione dell'ufficio Presidenziale del Gran Consiglio che deciderà dell'attivazione dell'alta vigilanza sul Consiglio di Stato». L’intero governo è responsabile della politica persecutoria degli ultimi anni. Se il consigliere di Stato Norman Gobbi e l’attività del Dipartimento Istituzioni ne sono il volto più evidente (anche perché da lui rivendicate con orgoglio), le responsabilità sono state condivise all’interno della maggioranza del governo ticinese. Da anni area racconta le conseguenze di una politica che si accanisce in modo illegale e illegittimo contro la comunità straniera residente nel Cantone. Se una famiglia sprovvista di passaporto elvetico, esercitava un suo diritto inoltrando al Dipartimento sanità e socialità la domanda di sostegno ai premi malattia o assegni integrativi o di prima infanzia, riceveva la risposta dei funzionari del Dipartimento istituzioni che lo minacciavano d’espulsione. Uno scambio d’informazioni tra i due dipartimenti finalizzato a far desistere nel richiedere un legittimo diritto sancito dalla politica familiare voluta a livello cantonale. Si badi bene che non vi era nessuna necessità indotta da un’ipotetica lotta al turismo assistenziale, poiché quasi tre quarti dei beneficiari degli assegni familiari erano svizzeri. La quota dei residenti stranieri era stabile da decenni. La sezione del lavoro invece, di competenza del Dipartimento finanze ed economia, adottava una personale interpretazione sul concetto di centro d’interesse per arrivare a negare alle persone il diritto alla disoccupazione. Anche in quel caso, furono i tribunali a ricordare l’esistenza di uno stato di diritto all’autorità cantonale, grazie ai numerosi ricorsi vinti dal sindacato. Esattamente quanto successo con le revoche dei permessi illegali, puntualmente bocciate dal Tribunale amministrativo cantonale, di cui ha riferito la puntata di Falò “Le vite degli altri”. Le scioccanti giustificazioni in studio della costante violazione della legge per motivi politici di colui che rappresenta le Istituzioni cantonali, hanno finalmente aperto una discussione sul tema, da anni passato sotto traccia sia a livello politico che mediatico. Un clima di terrore nel rivendicare i propri diritti denunciato con forza dal sindacato Unia lungo tutti questi anni perché vissuto sulla propria pelle da molte lavoratrici o lavoratori di questo Paese. Nel 2017 Unia promosse una manifestazione unitaria a Bellinzona affinché la società fosse informata e s’interrogasse sulle derive di una politica d’accanimento contro gli stranieri residenti. Non successe nulla. A tre anni di distanza, lo scalpore suscitato dal servizio giornalistico e dalle risposte in studio di Gobbi, forse, riuscirà a smuovere le acque. «Lottare per i diritti dei migranti vuol dire lottare per i diritti di tutte le lavoratrici e i lavoratori perché le politiche escludenti colpiscono l’intera popolazione» aveva spiegato la presidente nazionale di Unia Vania Alleva, intervenuta al corteo del 2017. Una frase ancora oggi di estrema attualità. |