Diventa sempre più aspro lo scontro a Panama fra la Chiquita Brands International e i sindacati dei raccoglitori di banane, in particolare nella provincia di Bocas del Toro. La multinazionale statunitense ha deciso di licenziare anche i restanti 1.600 dipendenti oltre ai 4.800 lavoratori giornalieri già cacciati lo scorso fine maggio, dopo che erano entrati in sciopero permanente dal 28 aprile. Il che equivarrebbe a chiudere ogni attività. Le dimostrazioni avevano preso il via subito dopo un decreto del parlamento (controllato dalle destre) che ha varato un drastico taglio delle pensioni. All’agitazione nazionale si sono sommati (fra gli altri) insegnanti, personale sanitario e il settore delle costruzioni con tanto di affollate manifestazioni e blocchi stradali, cui sono seguiti scontri con la polizia panamense. La produzione bananiera, dopo le entrate derivanti dai transiti sul canale interoceanico, costituisce la principale fonte economica di Panama per un ammontare di 273 milioni di dollari annuali (13° esportatore al mondo). Sono 26 le fincas di banane fra Bocas del Toro e Chiriquí, per un totale di 7mila ettari. Lo sciopero è stato dichiarato “illegale” dal Tribunale del Lavoro che ha pure autorizzato la cacciata dei diurnisti dalle piantagioni per “giusta causa”. Con la Chiquita che ha denunciato danni presunti per 110 milioni di dollari, dei quali una parte “irreversibile” per l’interruzione dell’invio di 2,7 milioni di casse di banane (e il relativo marcire della frutta) che normalmente arrivano nei nostri supermercati. L’azienda ha così invitato i propri raccoglitori di banane ad affrettarsi a ritirare l’“indennità di buona uscita” e a levarsi dai piedi. Come se non bastasse anche il presidente neoliberista José Raúl Mulino si è schierato con la multinazionale statunitense definendo la protesta “intransigente” oltre che “ingiustificata”, dichiarando pure lo stato di emergenza nella provincia di Bocas. Francisco Smith, segretario del sindacato bananiero Sitraibana, ha rivendicato la piena legalità dello sciopero e rovesciato sul presidente Mulino e sui deputati che lo sostengono nell’assemblea legislativa la responsabilità delle massicce contestazioni che, ha dichiarato, “proseguiranno fino a che non verrà cancellato il taglio alle pensioni”. La situazione è talmente grave che all’ultima ora il presidente Mulino avrebbe deciso di aprire una trattativa che scongiuri la definitiva sospensione di ogni produzione, aprendo a una revisione del decreto di tagli della previdenza sociale. Mulino (di origine italiana) non ha ancora compiuto un anno ai vertici del governo ed è stato il primo presidente “visitato” dal Segretario di stato USA Marco Rubio, nel febbraio scorso, davanti al quale si è prostrato garantendo l’interruzione del passaggio degli immigrati verso nord nello stretto della giungla del Darién, oltre che la messa in discussione della gestione dei porti di entrata/uscita del Canale di Panama da anni affidata alla cinese Ck Hutchison Holdings di Hong Kong. Il tutto per rispondere a una delle prime intenzioni manifestate da Donald Trump di “riprendersi” il canale, con tanto di invio di missioni operative di perlustrazione della propria marina militare. La via d’acqua fu fatta costruire dagli USA oltre un secolo fa, insediandovi pure il Comando Sud della U.S. Force, per poi cederlo alla sovranità panamense il 31 dicembre 1999. Quello di questi giorni della Chiquita, che ha peraltro una delle sue sedi principali proprio in Svizzera (a Etoy nel canton Vaud), non è altro che un rigurgito di passato/presente imperiale nelle piccole nazioni dell’istmo centroamericano, che già dalla fine dell’800 venivano chiamate non a caso banana republics. E dove la Chiquita è l’erede della storica United Fruit Company, prima multinazionale del pianeta alla quale venne attribuito (in collaborazione con la CIA) il golpe del 1954 che pose fine ai dieci anni della “Rivoluzione d’Ottobre” del Guatemala di cui furono protagonisti i giovani ufficiali dell’esercito, che si erano avventurati a espropriare le terre incolte della United per il varo di una riforma agraria. Il giovane Ernesto Che Guevara ne fu testimone sul posto. |