Babbo natale viene dalla Cina

Non c’è periodo più strano per una catena di negozi di giocattoli che annunciare la bancarotta a poche settimane dal Natale. È invece proprio quello che ha fatto in questi giorni la Fao Schwarz, una catena americana famosa per i suoi giocattoli presentati in un’atmosfera magica e con uno stile inconfondibile. Cade davanti ad una concorrenza, che sa offrire prodotti uguali o simili a prezzi decisamente più bassi. È il caso della Wal-Mart, il gigante americano della vendita al dettaglio. Ormai il consumatore americano guarda prima di tutto al prezzo. Lo fa soprattutto in questo periodo di incertezza economica. Gli indicatori parlano di una crescita economica forte, ma per il momento questa si fa sentire poco sull’occupazione o nell’aumento dei salari. Negli ultimi anni molta gente ha perso il posto di lavoro. Si calcola che il settore manufatturiero abbia perso oltre due milioni di posti di lavoro da quando Bush è arrivato alla Casa Bianca poco meno di tre anni fa. Hanno chiuso le porte industrie dolciarie, meccaniche, tessili e naturalmente industrie che producevano giocattoli. C’è chi ha chiuso per sempre, ma molto spesso la produzione è stata semplicemente trasferita all’estero: in Messico o in Cina o in altri paesi emergenti. I lavoratori delle vecchie fabbriche, soprattutto quelli più anziani, hanno dovuto accontentarsi di lavori meno ben retribuiti. L’americano medio comunque si prepara a festeggiare come sempre alla grande quella che è ormai diventata la grande festa dei consumi. Si calcola che mediamente ogni americano spenda 600-700 dollari in regali da mettere sotto l’albero riccamente addobbato. C’è però anche chi dovrà semplicemente accontentarsi di ricevere i giochi o i vestiti che le organizzazioni di beneficenza stanno in questi giorni raccogliendo nelle scuole private o nelle chiese americane. I bambini poveri sono una realtà tutt’altro che marginale nella ricca America. Molti bambini comunque in questi giorni stanno scrivendo la lunga lista dei desideri. Molti saranno accontentati. Una cosa è sicura: quasi nessuno riceverà un giocattolo “Made in Usa”. Si calcola infatti che l’80 per cento dei giocattoli in vendita in America portino il marchio “made in China”. Sono fatti in Cina, per esempio, i pupazzi di Harry Potter, le bambole Barbie o i giochi di Star Wars. Puntualmente all’arrivo di ogni Natale le organizzazioni terzo-mondiste, sindacali, di difesa delle donne e dei diritti umani puntano il dito sulle condizioni di lavoro di molte fabbriche cinesi o asiatiche. Il tema interessa sempre più anche i giornali ad alta tiratura. In questi giorni, per esempio, il “New York Times”, riporta una inchiesta realizzata in Cina e che interessa proprio una fabbrica di giocattoli. Produce tra l’altro le famose lavagne magiche Etch A Sketch, che sino a tre anni fa erano prodotte a Bryan, una cittadina dell’Ohio duramente colpita dalla chiusura di questa catena di produzione, ma anche di altre fabbriche. La Ohio Art Company, che vende appunto le lavagnette magiche, per anni ha garantito un posto di lavoro sicuro a molte donne. Le più anziane non sono più riuscite a trovare una nuova occupazione e adesso si accontentano di vivere con la pensione di vecchiaia. Molti giovani invece sono andati a cercare fortuna altrove. A risentirne sono le entrate del comune, ma anche i negozianti della città, che hanno sempre meno clienti. A Bryan le case in vendita sono sempre di più e i prezzi non fanno che scendere. La produzione è stata trasferita in Cina per far sì che il prezzo di una lavagnetta non salisse a più di 10 dollari. I distributori vogliono poter offrire prodotti convenienti ai loro clienti, ma questo naturalmente ha un suo costo, come hanno ben capito le lavoratrici di Bryan. Adesso le lavagne sono prodotto dalla Kin Ki Industrial, una impresa leader cinese nella confezione di giocattoli. Impiega soprattutto giovani operai che – secondo l’inchiesta del “New York Times” – ricevono salari talvolta inferiori al minimo legale e restano in fabbrica molto più di 40 ore alla settimana. Non tutti poi beneficiano delle prestazioni sociali (cassa malati e cassa pensione) che invece ricevevano gli operai americani, grazie proprio ai contratti di lavoro stipulati con i sindacati. L’America comincia ad interrogarsi su vantaggi e costi di questi trasferimenti. Ne parlano i giornali e i giornalisti televisivi interrogano gli esperti anche perché adesso, dopo la scomparsa di tanti posti di lavoro in fabbrica, emigrano all’estero anche molti posti del settore terziario. L’India è ormai diventato un paese che può offrire molti servizi nel settore dell’elettronica a prezzi decisamente più bassi di quelli americani. Da notare comunque che non tutte le esperienze si sono rivelate positive. Sono noti casi di imprese che rimpatriano la produzione. A scoraggiarli, sono le difficoltà linguistiche, le scarse conoscenze tecniche delle maestranze, gli imprevisti e i ritardi nelle consegne che possono essere fatali, soprattutto se avvengono durante il periodo natalizio. Un anno fa, lo sciopero dei portuali della costa pacifica ha messo in luce tutta la fragilità del sistema. I sindacati cercano come possono di fronteggiare questa situazione e propongono nuove strategie. Questo Natale, per esempio, la Cwa (Comunications workers of America), il potente sindacato della comunicazione, ha invitato i soci a diventare clienti della Cingular, l’unica compagnia telefonica che è orgogliosa di cooperare con i sindacati. I membri della Cwa possono ottenere uno sconto del 15 per cento se scelgono Cingular e le persone iscritte ad un altro sindacato uno sconto del 10 per cento. Anche l’Afl-Cio, l’organizzazione sindacale mantello che conta circa 13 milioni di iscritti invita i suoi soci a comprare secondo chiari criteri. “Assicurati che stai acquistando prodotti che sono stati fabbricati da persone sindacalizzate e in America”. Le possibilità non mancano. Basta passare in rassegna la lunga lista di prodotti offerti dal negozio virtuale dell’Afl-Cio per capire che a Natale è possibile comprare prodotti fatti nel rispetto dei diritti dei lavoratori.

Pubblicato il

19.12.2003 05:30
Anna Luisa Ferro Mäder