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Avete detto servizio pubblico?
di
Martino Dotta
Si fa da tempo un gran discutere sul concetto di servizio pubblico, specialmente in riferimento alla trasformazione delle aziende federali, cantonali o comunali in società anonime. Seguendo le regole del libero mercato e della concorrenza, queste imprese sono state costrette ad adattare strutture e procedure decisionali. Anche per esse, come per quelle private, le leggi economico-finanziarie sono diventate inflessibili. Senza tenere più conto del loro eventuale passato glorioso o del valore idealista della loro fondazione (assicurare la fruizione dei servizi a tutti i cittadini), sono state costrette a chiudere i battenti le ditte che non risultino autonome dai finanziamenti degli enti pubblici. Di fronte a modifiche tanto radicali, molte persone sembrano guardare con rincrescimento agli anni in cui, ad esempio, la Posta recapitava lettere e pacchi due volte il giorno con invidiabile rapidità e le Ferrovie federali non conoscevano né ritardi, né tagli del personale. Ora le cose sono cambiate e, oltre a provare una certa nostalgia per la qualità dei servizi assicurati dagli ex-monopoli statali, queste stesse persone si chiedono se sia stato ragionevole sacrificarla sull’ara dell’efficienza e della redditività a ogni prezzo. A considerare i risultati del complesso processo di modifica delle aziende pubbliche in compagnie commerciali, sconcertano soprattutto i costi sociali sul piano umano e collettivo. Si vedano l’aumento della disoccupazione, la crescente soppressione di posti di lavoro, la generale precarietà degli impieghi. Persino i servizi universali sono assicurati solo se sono abbastanza produttivi. Si sa che il rimpianto non è mai una buona reazione a un cambiamento. Perciò, parlando di servizio pubblico ci viene voglia di porgere una domanda: nel passato, ha avuto solo pregi e nessun difetto? A ben vedere, è difficile proporne una valutazione complessiva, senza prendere in considerazione un aspetto che ci pare tanto importante, quanto spesso ignorato. Il servizio pubblico ci ha in fondo condotti a una forma subdola di "delega di responsabilità": non avevamo motivo di preoccuparci della sua esistenza o del suo funzionamento, poiché per definizione non erano messi in discussione. In sostanza, tutto funzionava al meglio, perché qualcuno vi provvedeva a nome della collettività. Nessuno ha mai pensato che, un giorno o l’altro, questa condizione privilegiata ci sarebbe stata tolta. Siamo stati abituati a dare troppe cose per scontate. L’economia ci costringe pertanto non solo a un’inversione di rotta, ma anche a una nuova sensibilità: il servizio pubblico non è più un diritto acquisito, bensì un dovere da svolgere! Per una migliore qualità di vita, è chiesta una differente partecipazione di tutti i componenti sociali al servizio del bene comune. Ci abbiamo mai riflettuto?
Pubblicato il
31.01.03
Edizione cartacea
Anno VI numero 5
Rubrica
Non solo Dio
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