Basta con i timori della congiuntura negativa, con la paura di perdere il posto di lavoro che per un intero decennio ha rallentato l’azione sindacale. È ora di rivendicare un incremento reale dei salari e l’eliminazione di quelle paghe così basse da determinare il nuovo fenomeno dei «working poors», i lavoratori poveri. Tanto più che la ripresa della congiuntura, a partire dal 1996, s’è tradotta in remunerazioni scandalosamente alte per i manager e in aumenti concessi soltanto su basi individuali. Non solo più soldi nella busta paga È questo, in sintesi, il nuovo corso deciso dall’Unione sindacale svizzera in materia di politica salariale, annunciato a metà agosto. Ed anche se i media hanno parlato di un imminente «autunno caldo», non si tratta soltanto di un’aggressiva campagna sindacale per rivendicare più soldi in busta paga, ma di un’articolata piattaforma con più ampi obiettivi politici e sociali. Tali sono il superamento delle condizioni salariali discriminatorie verso le donne e delle retribuzioni al di sotto del minimo vitale, nonché l’entrata in vigore immediata delle misure d’accompagnamento all’accordo con l’Unione europea sulla libera circolazione delle persone. Il punto di partenza della piattaforma presentata dai vertici dell’Uss è l’aumento reale dei salari. Dopo gli anni Novanta che hanno penalizzato i redditi bassi e medi delle lavoratrici e dei lavoratori, soltanto nel 2000 è stato possibile ottenere, grazie alla mobilitazione sindacale nei settori in cui vigono contratti collettivi di lavoro, sensibili aumenti salariali per quest’anno. Ma il bisogno di recupero del valore reale dei redditi rimane enorme. Perciò le federazioni sindacali aderenti all’Uss chiedono in maggioranza un aumento generalizzato dei salari del 5 per cento, di cui un 3,5 per cento d’incremento reale e un 1,5 per cento di adeguamento al rincaro. «Per i salariati, gli anni Novanta sono stati anni perduti», ha spiegato il segretario centrale dell’Uss, Serge Gaillard. I primi 6 anni del decennio sono stati caratterizzati da disoccupazione di massa, dalla paura di perdere il posto di lavoro e dal calo del potere d’acquisto. I salari reali hanno ristagnato ed imposte e tariffe sono aumentate, con la conseguenza che tra il 1990 e il 1998 il potere d’acquisto dei redditi medi e bassi s’è ridotto del 5 per cento. Le briciole sempre agli stessi Ma anche la ripresa congiunturale del quadriennio tra il 1997 e il 2000 non ha avuto effetti sui salari reali dei lavoratori. Ad approfittarne ampiamente sono state invece le aziende, che hanno ricostituito «succosi utili», e la dirigenza, che si è concessa remunerazioni «al limite dello scandalo». «I lavoratori – ha detto ancora Gaillard in un confronto, apparso sul Sonntags-Blick, con il direttore dell’Associazione padronale, Peter Hasler – hanno ricevuto soltanto le briciole: lo 0,2 per cento all’anno. Nello stesso tempo le paghe delle alte sfere sono aumentate quest’anno del 21 per cento. È una situazione grottesca: nessuno può essere dieci volte più produttivo di un altro». E il primo aumento reale per i lavoratori non sarebbe stato ottenuto, l’anno scorso, se i sindacati non avessero «battuto il pugno sul tavolo». Aumenti di salari: i mezzi ci sono Le rivendicazioni salariali sono giustificate – sempre secondo Serge Gaillard – anche sotto il profilo economico. L’esplosione degli stipendi dei manager dimostra che le imprese «dispongono dei mezzi necessari a far crescere la massa salariale». Inoltre, l’attuale indebolimento congiunturale tocca soltanto l’industria dell’esportazione, mentre l’edilizia e tutta l’economia interna continuano a crescere. E non va dimenticato che l’evoluzione congiunturale per il prossimo anno dipende da come si sviluppa la domanda interna, quindi anche dagli aumenti salariali che sostengono i consumi. Una lotta a tutto campo Ci sono poi altre ragioni che spingono i sindacati a riprendere l’iniziativa su questo terreno. In primo luogo, c’è la necessità di contrastare la tendenza delle imprese a concedere ai propri dipendenti, in modo poco trasparente, aumenti individuali e gratifiche. E poi, la ripresa della contrattazione salariale deve riaffermare il principio di un generalizzato ed automatico adeguamento al rincaro. Negli anni Novanta questo principio è stato talmente combattuto dal padronato, che in contratti collettivi come quelli dei settori chimico e tessile non viene più neppure menzionato. La lotta contro la «deregolamentazione» delle trattative salariali è fondamentale anche per conseguire altri tre obiettivi collegati tra loro: la soppressione dei salari inferiori ai 3.000 franchi (ovvero l’imposizione dei minimi salariali); la parità di retribuzione, a parità di compiti, tra uomini e donne; la prevenzione del dumping salariale. «La situazione nei settori a bassi salari rimane inquietante», ha detto il presidente dell’Uss, Paul Rechsteiner. In seguito ad uno studio sindacale su questo fenomeno, l’Ufficio federale di statistica ha recentemente attirato l’attenzione sulle condizioni inaccettabili, degradatesi nel corso degli anni Novanta, nelle quali si trovano numerosi lavoratori poveri. I settori più vulnerabili La situazione è precaria nei settori in cui i sindacati sono poco presenti o ancora assenti (agricoltura, tessili e abbigliamento, certi comparti del commercio al dettaglio) e che rischiano di conoscere nuove, gravi regressioni sul piano socio-politico. Alcuni di questi settori chiedono infatti nuove forme di permessi precari (soggiorni di breve durata, stagionali) e fanno facilmente ricorso al lavoro nero. Ora, poiché con gli accordi bilaterali la Svizzera sta per aprirsi al mercato europeo del lavoro, è importante che le condizioni in questi settori precari vengano rese il più possibile poco attrattive. Quindi, è necessario eliminare i salari troppo bassi ed introdurre i contratti collettivi, invece di consolidare le attuali anomalie con nuove forme discriminatorie di permessi di soggiorno e di lavoro. A tal fine dovrebbero provvedere le misure d’accompagnamento alla libera circolazione delle persone. Invece, in modo «incomprensibile e politicamente inaccettabile» si prevede di non applicare tali misure se non dopo due anni dall’entrata in vigore degli accordi bilaterali. «A prescindere dal fatto che una parte degli effetti della libera circolazione si farà sentire immediatamente – ha precisato il presidente Rechsteiner – un rinvio delle misure d’accompagnamento finirebbe per sabotare l’attività delle commissioni tripartite durante il delicato periodo di transizione. Vista l’ampiezza delle ripercussioni sulle persone coinvolte e sul clima sociale, non si possono fare le cose a metà».

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31.08.01

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