Spazio Amnesty

“Molto allarmata dopo aver appreso dell’arresto di Samar Badawi, la sorella di Raif Badawi, in Arabia Saudita. Il Canada chiede con forza la loro liberazione”. Questo messaggio, postato su Twitter a inizio agosto dalla ministra degli affari esteri canadese, Chrystia Freeland, ha scatenato una crisi diplomatica senza precedenti: le autorità saudite, indignate da questa critica, hanno richiamato il proprio ambasciatore, congelato le transazioni commerciali e sospeso le borse di studio per gli studenti sauditi in Canada.


Da parte degli altri ministri degli affari esteri: silenzio stampa. Rari sono coloro che osano criticare il regime saudita, soprattutto dopo l’offensiva ammaliatrice condotta dal principe ereditario Mohammed bin Salman, che tenta di darsi l’immagine di un monarca riformatore, affermando di voler “modernizzare” il suo paese.
Ma non c’è nulla di moderno nell’arrestare delle militanti in favore dei diritti delle donne, nel detenerle senza un’accusa e nel volerle giudicare davanti ad un tribunale antiterrorismo. Nulla di moderno nella volontà di condannare a morte una militante semplicemente perché ha partecipato a delle manifestazioni. Nulla di moderno nella prevista decapitazione e crocifissione di un uomo condannato sulla base di una confessione ottenuta sotto tortura, quando aveva manifestato contro il regime, all’età di 17 anni.
Negli ultimi mesi la persecuzione nei confronti dei difensori dei diritti umani si è intensificata. Tre note militanti che avevano protestato contro il divieto di guidare imposto alle donne saudite, sono detenute da oltre cento giorni. Le autorità e i media legati al governo hanno lanciato una campagna diffamatoria per tentare di screditarle e farle passare per “traditrici”.


Certo, il principe Mohammed bin Salman ha emesso un decreto reale che – da fine giugno – permette alle saudite di mettersi al volante: questo gesto non basta per mettere fine alla discriminazione sistematica che colpisce le donne, nella legge e nella pratica. Le donne saudite non possono viaggiare, esercitare un’attività remunerata, seguire degli studi superiori o sposarsi senza il permesso di un tutore di sesso maschile. E le militanti che denunciano questa ingiustizia finiscono in carcere. È vano cercare delle parole di condanna di questa incessante persecuzione delle militanti saudite tra le dichiarazioni dei grandi di questo mondo, e in particolare tra i membri del nostro Consiglio federale. Nessuno vuole correre il rischio di urtare il gigante del petrolio, che reagisce immediatamente alla benché minima critica. 

Pubblicato il 

30.08.18
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