Dal 1° settembre il Théâtre Populaire Romand ha un nuovo direttore, il regista italiano Gino Zampieri. Negli anni ’60 Zampieri collaborò con il Tpr come attore-apprendista, lasciò poi la Svizzera per lavorare con personaggi del mondo dello spettacolo quali Armand Gatti, Dario Fo, Maurizio Scaparro e soprattutto con Giorgio Strehler che lo assunse al Piccolo Teatro di Milano come assistente di regia. Tra qualche giorno farà la sua entrata al Tpr con Arlecchino, servitore di due padroni, tratto da Goldoni. Lo spettacolo sarà prima rappresentato il 30 settembre a Winterthur nell’omonimo teatro e poi a La Chaux-de-Fonds, Beau-Site dal 3 al 6 ottobre 2001. Come dichiara lo stesso regista «questo Arlecchino è un atto d’amore verso il pubblico del Jura, un immenso scoppio di riso che vuole invadere tutta la Svizzera romanda». Ma è soprattutto un omaggio al suo Maestro, Giorgio Strehler, geniale creatore della pièce che fu messa in scena nel 1947 a Milano. L’Arlecchino di Strehler in mezzo secolo ha fatto il giro del mondo, diventando il simbolo del teatro italiano. Nell’assumere la direzione del Tpr, a Zampieri è sembrato naturale aprire la stagione 2001-02 con uno spettacolo così ricco di storia e di passione teatrale. Il soggetto originale della pièce sembra essere attribuito a un francese: Jean Pierre Ours de Mandajors e a quanto pare gli attori della Commedia dell’Arte usarono liberamente il canovaccio. Fu in seguito Sacchi, uno dei più celebri Arlecchini dell’epoca e grande ammiratore di Goldoni, che domandò all’autore veneziano di creare una vera opera teatrale. Goldoni riuscì così a trasformare la commedia giocosa in un’esplosiva creazione che si evolve tra lazzi spassosi e scambi di battute. Nel 1753, quando finì di scrivere il testo, Goldoni propose un canovaccio e i ruoli «seri», quelli appunto degli innamorati. Gli altri personaggi, come gli Zanni (servi) e i Vecchi – ruoli comici – erano lasciati all’improvvisazione e alla fantasia delle maschere della Commedia dell’Arte. La pièce di Zampieri è prodotta con Le Scala di Strasbourg, ecco quindi che il passaggio alla lingua francese e a una certa contaminazione della lingua tedesca hanno trasformato lo spirito della pièce e la sua messa in scena. Da mediterranea, passando per Strasbourg, è diventata più nordica, anche se ha mantenuto inalterato il suo aspetto più genuino. Sulla scena ritroviamo un equilibrio ristabilito con un Arlecchino alsaziano, un Pantalone di Strasbourg e un Dottore parigino. E i due Padroni? Uno francese e l’altro tedesco….
Un intenso omaggio non solo a Giorgio Strehler ma soprattutto alla causa delle culture europee da sempre sostenuta dal grande regista italiano. |