Appunti per Giovanna Masoni

Siccome l'altra sera, nella sala affollata di Villa Carmine al Molino Nuovo, il tempo non è bastato per le repliche, vorrei tornare su alcuni problemi legati alle demolizioni di edifici di valore a Lugano e dividerò questo articolo in tre capitoletti dedicati agli inventari, alla politica degli alloggi ed agli architetti.

La questione degli inventari

La nuova legge cantonale dei beni culturali è entrata in vigore nel 1997 e prevede che gli edifici di interesse culturale locale vengano elencati ed inseriti in un apposito articolo di tutela nei piani regolatori comunali. Non ci vuole una grande procedura. Basta la modifica di un articolo delle norme del P.r. che il Consiglio comunale può votare rapidamente.
Dal 1997 ad oggi il Municipio ed il Consiglio comunale di Lugano non hanno ancora trovato il tempo (o la voglia) di fare questa operazione. Oddio, non solo Lugano. Se non erro nessun comune del Canton Ticino, dopo dieci anni di entrata in vigore della legge ha introdotto nelle proprie norme di piano regolatore simili elenchi.  Spero sinceramente che il giorno in cui gli inventari cantonali saranno finiti ed operanti qualche bene culturale sia ancora rimasto in piedi dopo la strage generale.
Ma c'è di più. Alla fine degli anni '70 il Cantone aveva istituito una "Commissione per l'inventario delle costruzioni recenti degne di protezione – Architetture ticinesi di valore costruite dopo il 1850". Di quella commissione facevano parte gli architetti Eraldo Consolascio, Paolo Fumagalli, Fabio Reinhardt, Gianfranco Rossi e Guido Tallone. Nel 1985 il loro lavoro era finito e le esaurienti schede sono da allora in possesso del Cantone e di alcuni comuni, i quali (Lugano compresa)  hanno assicurato loro un lungo ed indisturbato sonno del genere archivistico. Cioè di nessun uso pratico, almeno fino ad oggi.

La politica degli alloggi a buon mercato

La signora Masoni ha affermato che la città di Lugano possiede in proprio circa mille appartamenti. Suppongo che contasse anche quelli della Cassa pensioni degli impiegati del comune, che rappresentano certamente il grosso di questo parco immobiliare. Ma non credo che la città di Lugano abbia mai fatto in proprio od in combinazione con altri enti una vera politica di sostegno dell'alloggio popolare, come è sempre avvenuto a Zurigo, a Basilea, a Ginevra, a Bienne, a Le Locle,… In quelle città i comuni hanno condotto sin da anni lontani una politica di acquisizione di fondi nelle zone di crescita urbana, hanno concesso a buone condizioni diritti di superficie (Baurechte) a grosse società cooperative con scopi sociali, hanno concluso accordi con sindacati, associazioni per l'edilizia sociale, società immobiliari private per realizzare in comune interi quartieri. Il caso del Lignon a Ginevra degli anni '70, con alcune migliaia di abitanti è esemplare, in ogni caso sul piano istituzionale. Del resto opera in Ticino un ente di tutto rispetto, la Alloggi Ticino S.A. (chiamata un tempo Logis Suisse), che ha come programma di mettere a disposizione alloggi di buona qualità, con affitto moderato, costruendo in proprio o comprando oggetti esistenti a prezzo vantaggioso in occasione di fallimenti, aste, e così via, e mettendo poi in opera miglioramenti delle abitazioni per affittarle con contratti favorevoli e sicuri.
Alla Alloggi Ticino S.A. partecipano la Confederazione nella misura del 35 per cento, il Canton Ticino con il 38 per cento, i sindacati con il 23 per cento e, con altre parti minori, la Banca dello Stato e la Banca Coop. Oggi quella società possiede circa 800 alloggi nel solo Ticino e presto ne avrà un migliaio. Naturalmente si tratta solo di un esempio. Ma non ha mai pensato la città di Lugano, sul modello delle grandi e medie città svizzere, di stabilire contatti ed accordi, di avviare iniziative combinate per realizzare alloggi popolari ? E se non l'ha fatto, perché? Per "non inibire lo sviluppo economico della città" da parte dell'iniziativa privata come qualcuno ha detto e scritto in questi ultimi giorni ?

L'appello agli architetti

La Signora Avvocato Giovanna Masoni-Brenni ha rivolto di recente agli architetti e più in generale ai costruttori un appello a fare bene, a progettare e costruire architetture di qualità se si vuole che la città sia bella ed accogliente. L'appello è opportuno ed encomiabile. Ma oggi c'è qualche problema al quale vorrei accennare, scusandomi per l'inevitabile lunghezza. Nel cuore della modernità, diciamo tra il 1918 ed il 1968, esistevano in Europa due tipi di scuole d'architettura: quelle progressiste, nelle quali il problema dell'abitazione e dei quartieri era al centro della didattica e della ricerca, e quelle accademiche nelle quali si chiedeva agli studenti di progettare cose del tutto improbabili come, per esempio, un centro mondiale della danza su un'isola del Mediterraneo, dove anche l'isola andava inventata perché non veniva fornito nessun dato concreto in proposito. Dalla prime uscirono schiere di architetti e costruttori che si impegnarono per tutta la vita sul piano professionale e sul piano pubblico nella questione degli alloggi, dalle seconde tanti architetti-pompiers che tradotto in italiano significava pressappoco architetti-tromboni.
Oggi siamo un po' tornati, per ciò che riguarda la formazione degli architetti, all'accademia. Non solo in Ticino, del resto. Ovviamente non si sognano più le acropoli della danza, ma si rincorrono i modelli delle star mondiali dell'architettura, con le loro opere d'eccezione. Molti laureati, non per colpa loro e quando va bene, finiscono poi per lavorare  nel mercato della peggiore produzione immobiliare corrente.
Questi sono dati reali che contribuiscono, anche se solo in piccola  parte, alla cattiva qualità dell'odierna produzione di alloggi. Sarebbe bene, nel coro del grande dominante consenso, parlare ogni tanto anche di questi problemi sui quali generalmente si tace.
E potrei continuare con altre considerazioni, ma lo spazio è quello che è. Una cosa ho notato sulla stampa.  L'amministratore della Amministrazione Beltramina Sagl che realizzerà i nuovi stabili di Via Beltramina è lo stesso della società Perivia S.a. che promuove la ristrutturazione degli stabili a corte di Via Peri nel nucleo di Lugano. Il progetto di questo intervento è dello  studio Archiconsult S.a. dell'architetto Giorgio Giudici, sindaco di Lugano. Di fronte a simili prossimità di interessi un tempo si sarebbe detto: "Ahi la mia gamba !" Ma non vi è nulla di irregolare, naturalmente. Come non v'è nulla di irregolare nel permesso di demolizione della casa del Tami in Via Beltramina e del permesso di costruzione  già rilasciato per un nuovo condominio con tanto di autosilo sotterraneo al posto del bel prato alberato.
Il fatto che le città diventino sempre più brutte ed ingiuste è perfettamente regolare e legale sullo stretto piano giuridico-formale. Come regolare e legale è la distruzione delle piante e dei pochi prati ancora rimasti. Ma si sa, alberi e prati non rendono. 

Pubblicato il

29.02.2008 13:00
Tita Carloni