La votazione del 27 novembre prossimo ripropone al popolo – oltre all’iniziativa popolare “per alimenti prodotti senza manipolazioni genetiche” – il problema dell’apertura domenicale dei negozi. Parlamento e Consiglio federale premono infatti per una modifica della legge sul lavoro di modo che i negozi situati nelle stazioni molto frequentate e negli aeroporti (sono 25 i centri commerciali di questo genere in Svizzera, nessuno in Ticino) possano restare aperti anche la domenica. Legalizzando così una situazione già esistente anche se non regolamentata. In Svizzera la legge sul lavoro vieta infatti in generale il lavoro domenicale. Ciò nonostante i negozi situati nei centri di trasporto pubblici con una mole di traffico importante possono impiegare personale anche la domenica unicamente se vendono beni e servizi strettamente necessari ai viaggiatori.
Ma cosa è “strettamente necessario”? Per definirlo si è dovuto far ricorso al Tribunale federale che ha fissato dei limiti per quanto riguarda la superficie di vendita e il genere di prodotti venduti. Attualmente non sarebbe concesso ad esempio vendere capi di abbigliamento, calzature, articoli fotografici, vini, ecc. Una disposizione rispettata però solo in parte e che Governo e Camere reputano troppo restrittiva in quanto non terrebbe più conto delle abitudini della popolazione che – a loro modo di vedere – vorrebbe poter fare shopping anche la domenica.
Ma il lavoro domenicale non piacerebbe solo agli amanti degli acquisti: il padre dell’iniziativa – il parlamentare radicale Rolf Hegetschweiler – aveva dichiarato durante i lavori in Consiglio nazionale che «alle commesse piace lavorare la domenica perché guadagnano di più». Ma sulla proposta di modifica di legge l’Unione sindacale svizzera e il sindacato Unia hanno lanciato con successo l’autunno scorso un referendum che ha raccolto in poco tempo 80 mila firme (ne bastavano 50 mila).
Il prossimo 27 novembre si va quindi al voto con il fronte dei partiti spaccato in due. Da una parte ci sono socialisti e verdi – per il no alla modifica della legge sul lavoro. Dall’altra radicali, democratici di centro e democristiani (Ad eccezione del Ppd ticinese) che – non lo nascondono – vorrebbero liberalizzare ulteriormente gli orari di apertura dei negozi. Ma recentemente la Chiesa evangelica e quella cattolica sono scese in campo per dire il loro no all’apertura domenicale dei negozi. In questo primo appuntamento sul tema area ha interpellato il vescovo di Lugano Pier Giacomo Grampa che ribadisce la «sacralità della domenica».
Pier Giacomo Grampa*, il primo agosto scorso lei ha dichiarato di essere contrario all’estensione degli orari d’apertura dei negozi nelle stazioni e negli aeroporti in votazione il prossimo 27 novembre. Per quale motivo?
In verità il primo agosto ho difeso la sacralità della domenica e ho portato ragioni di fede, antropologiche e sociali a sostegno del bisogno dell’uomo di ridare senso alla festa.
Saverio Lurati – segretario della sezione ticinese del sindacato Unia – le aveva confidato i suoi timori sulla liberalizzazione degli orari dei negozi pochi giorni prima che lei si schierasse per il no. Quanto è stata importante per lei questa discussione?
Credo che sia importante per il Vescovo ascoltare tutte le voci che lo aiutano a cogliere i segni dei tempi e leggere i fermenti vivi che salgono dal contesto storico. Sono memore di un rimprovero di Gesù ai suoi contemporanei, che sapevano interpretare le avvisaglie meteorologiche ed erano ciechi e sordi di fronte alle voci dell’umanità del loro tempo.
In una conferenza pubblica congiunta la Chiesa cattolica e quella evangelica hanno ribadito il loro no alla liberalizzazione degli orari dei negozi. Il vescovo ausiliario di Losanna Pierre Bürcher ha detto di temere che l’allentamento delle norme attuali sia solo una prima tappa verso una liberalizzazione totale degli orari dei negozi. Condivide questa paura?
La paura è sempre cattiva consigliera come lo è l’ingenuità. Occorre essere realisti: se certi valori non sono ancorati alle leggi in un contesto di “deregulation” come il nostro, è facile la prevaricazione.
I fautori del “sì” assicurano che i lavoratori avranno la facoltà di scegliere se lavorare la domenica o meno. Lei ci crede?
Io credo a patti chiari, sicuri, garantiti.
È più preoccupato per i suoi fedeli che non potranno venire a messa o per i lavoratori in genere, anche se non credenti o di altre fedi?
Se uno vuole andare a Messa oggi ne ha la possibilità anche se deve lavorare la domenica. Sono preoccupato che l’uomo non sia considerato prioritario sul guadagno e finisca per essere mezzo invece che scopo, fine del lavoro.
Quale è il suo giudizio sul mondo del lavoro di oggi? I lavoratori sono sufficientemente protetti secondo lei?
Mi pare di cogliere segnali preoccupanti di debolezza e possibili ricatti per la grande mobilità dei lavoratori e la crescente disoccupazione. Occorre vigilare.
Cosa ne pensa della posizione del sindacato Organizzazione cristiano sociale ticinese (Ocst)? Non c’è ancora una decisione ufficiale in merito al 27 novembre…in più sulle aperture straordinarie delle domeniche festive è decisamente favorevole.
A me preme difendere, nell’interesse generale della società, il valore della domenica e dei giorni festivi. Non tocca a me fare le mediazioni per eventuali eccezioni a determinati periodi o per precise località se può ritornare favorevole ai fruitori e di utilità generale. ct
* intervista concessa per iscritto (via email)
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