La domanda è sempre la solita: perché in Svizzera è tutto così dannatamente costoso? Certo, la questione non è nuova, ma se prima la maggioranza della popolazione poteva accusare il colpo di scontrini e fatture alle stelle, oggi chi vive in Svizzera inizia a far materialmente fatica. E a chiedersi i reali motivi perché intorno a noi, nei paesi confinanti, è tutto più economico.

 

Ci sono eccessivi margini di profitto o, come sostiene l’organizzazione dei dettaglianti svizzeri, i commercianti sarebbero vittime di un sistema che li penalizza?

Un recente studio commissionato da Swiss Retail Federation conferma la seconda tesi: in Svizzera si deve far fronte a costi superiori, che portano a vendere i beni di consumo a una volta e mezzo i loro prezzi di vendita in Italia, Germania, Francia e Austria. Voilà, tutto chiaro.

Per Sergio Rossi, professore ordinario di macroeconomia e di economia monetaria all’Università di Friborgo, invece, si tratta di un’analisi parziale e siamo di fronte a una oggettiva discriminazione dei prezzi al consumo in Svizzera.

 

Lo studio realizzato da BAK Economics conferma il dato di fatto, dando i numeri che sono esorbitanti: in media, in Svizzera si paga il 74% in più che nell’insieme dell’Unione europea, mentre rispetto ai quattro paesi confinanti il 35% in più per i beni alimentari e il 58% in più per gli altri prodotti di consumo. Qualche esempio del divario di prezzo tra Svizzera e Italia, Germania, Francia, Austria? Banane +32%, pomodori +41%, scarpe +97%, camicie +125% (più del doppio), magliette +136%.

 

Professor Rossi, ha letto lo studio del BAK e che cosa ne pensa? Ci sono elementi nuovi?

No, non ci sono elementi nuovi, ma lo studio di BAK Economics ha messo in evidenza dei fattori importanti per spiegare le cause del livello dei prezzi al consumo più elevato in Svizzera che in Italia, Francia, Germania e Austria. Esso indica giustamente che i prezzi delle merci importate in Svizzera per il commercio al dettaglio sono più cari che i prezzi delle stesse merci acquistate dai dettaglianti nelle nazioni confinanti, ma ignora il fatto che la forza del franco nel mercato dei cambi, in particolare rispetto all’euro, riduce questo divario a vantaggio dei dettaglianti in Svizzera. Nello studio si osserva inoltre che la produttività delle lavoratrici e dei lavoratori nel commercio al dettaglio in Svizzera è maggiore che nei paesi limitrofi, giustificando perciò un livello salariale più elevato nel nostro paese. Lo studio fa anche notare giustamente che il commercio al dettaglio in Svizzera si rivolge a 9 milioni di abitanti, un numero assai più piccolo che nei paesi confinanti, dove perciò i dettaglianti possono ottenere una percentuale di sconto maggiore dai loro fornitori alla luce delle maggiori quantità vendute nel proprio paese.

 

Solo svantaggi per le aziende? C'è un però, non marginale, che il professor Rossi sottolinea a chiare lettere: «Lo studio menziona, ma non tiene in considerazione, che le aliquote delle imposte sugli utili delle imprese in Svizzera sono inferiori a quelle nei paesi confinanti, ciò che permetterebbe di avere dei prezzi di vendita più bassi in Svizzera. Inoltre, lo studio menziona, ma non tiene in considerazione, che i tassi d’interesse sui prestiti bancari concessi alle imprese in Svizzera sono generalmente inferiori che nei paesi limitrofi. Tutto ciò si potrebbe tradurre in un livello dei prezzi al consumo in Svizzera assai inferiore a quello attuale».

 

Insomma, l’analisi, che è stata commisionata e pagata dall’organizzazione mantello dei dettaglianti è corretta, ma parziale e, quindi, non inquadra il fenomeno in tutte le sue sfaccettature. Di più, ci sarebbero ampi margini per abbassare i prezzi, date alcune condizioni favorevoli per chi vende in Svizzera beni di largo consumo.

 

Professor Rossi, quali sono secondo lei le oggettive ragioni all’origine del livello dei prezzi più elevato?

Da un lato, la concorrenza nel mercato dei beni di consumo in Svizzera è minore rispetto a quella che esiste nei paesi dell’Unione europea. Nel commercio al dettaglio, per fare un esempio evidente a tutti, ci sono solo alcune grandi catene di distribuzione, ciascuna delle quali si è creata il proprio segmento di mercato in base alla fascia di reddito dei consumatori, divisi in tre categorie di prezzo: Manor; Coop e Migros; Denner, Aldi e Lidl. Non essendoci una effettiva concorrenza tra questi tre segmenti del mercato, il commercio al dettaglio può sfruttare questa situazione per aumentare i prezzi anche quando ciò non si giustifica dall’aumento dei costi di produzione.

 

Non c’è anche un elemento legato alla nomea che in Svizzera esista (o perlomeno esisteva) un potere d’acquisto maggiore?

Il livello dei prezzi al consumo è certamente fissato anche in base al potere d’acquisto della popolazione, che mediamente è superiore in Svizzera rispetto alle nazioni circostanti. Le aziende praticano perciò una discriminazione dei prezzi, vendendo a prezzi maggiori in Svizzera ciò che vendono a prezzi inferiori nei paesi limitrofi. Ciò accade per diversi tipi di beni: dai prodotti alimentari ai medicinali, ai dispositivi elettronici e informatici, ai mobili e alle automobili, per fare solo qualche esempio.

 

Nelle conclusioni dello studio del BAK si propongono delle “misure mirate” per combattere i prezzi alti, quali l’eliminazione di alcune norme, la decompartimentazione del mercato e il rafforzamento dei gruppi di acquisto. Per il professor Rossi si tratta di «misure effimere e in alcuni casi utopiche: non si può pensare che Migros e Coop, due catene di distribuzione concorrenti, si alleino per negoziare i prezzi dei fornitori».

 

Per l’economista, i margini per abbassare i prezzi al consumo esistono già (come appunto il vantaggio dato dalla minore imposizione fiscale degli utili aziendali in Svizzera, i minori tassi d’interesse bancari e la forza del franco che riduce il costo dei prodotti importati).

«I commercianti in suolo elvetico potrebbero far beneficiare anche i consumatori della forza del franco, a maggior ragione considerando che altrimenti il turismo degli acquisti oltrefrontiera continuerà ad aumentare, danneggiando sia le grandi catene di distribuzione sia i piccoli commercianti, soprattutto nei cantoni vicini alla frontiera come il Ticino, dove gli stipendi sono abbondantemente inferiori a quelli nel resto della Svizzera», conclude Rossi.

Pubblicato il 

04.10.24
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