Altre case dell'architetto Rino Tami (1908-1994) rischiano di scomparire. A poco a poco la società ticinese del 2000 sta distruggendo le tracce significative della sua prima modernità. Come presa da una specie di smania distruttrice di beni, case, strutture tuttora in buono stato sta riducendo il paese ad un grande cantiere smemorato e sprecone. Ma andiamo con ordine. Le case popolari del 1948, a Lugano
Il comune di Lugano possiede alcune modeste case d'appartamenti popolari sul lato ovest di Via Trevano, poco prima dello stadio. Sono edifici sobri, progettati da Rino e Carlo Tami nel 1945-46. Si era trattato allora di un concorso, vinto, che diede luogo, nel 1947, alla costruzione di 36 appartamenti di 3 e 4 locali. La pianta è di una chiarezza quasi disarmante, con una cucinetta aperta sul loggiato, un bagnetto (bagno, WC, lavabo) ventilato direttamente in facciata, una stufa per riscaldare l'intero appartamento, un modesto soggiorno, due camere, un piccolo atrio con gli armadi. Il loggiato è incorporato nel volume dell'edificio, secondo la tradizione rurale. Tutto è misurato, proporzionato, umile; le case sono costruite bene e sono in buono stato. Ma sembra che si faccia strada nel Municipio luganese la voglia di abbatterle per fare qualcosa di più denso, più "attuale", meno vetero-popolare. Quando i Tami vinsero il concorso scrissero che avevano studiato bene le case operaie che si costruivano in quel tempo a Zurigo. D'altro lato le classi più deboli di Lugano si lamentano giustamente del fatto che non si trovino più in città alloggi semplici, economici, di modeste pretese e che ormai, gli abitanti appunto più deboli, vengano espulsi in forma subdola verso l'alta valle del Cassarate o il piano del Vedeggio o ancora più lontano ad infittire le schiere di pendolari che comunque in città devono scendere ogni giorno per lavorare o per i servizi. Insomma la conservazione ed una buona riqualifica delle cosiddette "case del '48" dei Tami assumerebbe oggi anche un valore esemplare dal profilo urbanistico e territoriale. Le ville di Sorengo
Negli anni '50 la buona borghesia luganese si costruiva la casa in luoghi come Sorengo, zone tranquille, piene di verde, gradevoli, situate a pochi passi dalla città. Anche qui i fratelli Tami operarono a più riprese, disegnando con la solita eleganza e competenza costruttiva, domestiche ville dignitose, non viziate da ambizioni retoriche. Una di queste è la villa Cavadini del 1951 (ampliata nel 1963), oggi circondata da minacciose modine che ne annunciano la prossima scomparsa. Il Comune di Sorengo (che pur ha dedicato una via all'architetto) tace; tace il Cantone; tacciono molti colleghi e studiosi. E l'abbattimento di casa Cavadini ha l'aria di preludere alla scomparsa di altri edifici analoghi vicini : casa Lang, Casa Steiner, casa Rossi-Del Prete, tutte degli anni '50. Anche queste comode abitazioni sono contraddistinte da una certa modestia di contenuti. L'autorimessa è per due macchine al massimo: la Citroen di lui e la Topolino di lei. V'è di regola un solo bagno, piuttosto piccolo ed un secondo servizio con Wc, lavabo ed eventualmente una doccia. La cucina è comoda ma il soggiorno non esorbita. Qualche volta c'è uno studio ed una camera per gli ospiti. Tami in queste cose era economo, e così erano anche i suoi pur benestanti committenti. Ricordo che quando gli fu chiesto di introdurre un bagno per ogni camera nel progetto del costruendo complesso del Central Park di Lugano andò su tutte le furie, diede una gran sventola ai disegni dispiegati sul tavolo e senza tanti complimenti se ne andò. Per lui un bagno per ogni camera era una sorta di spreco, di insulto alla stessa moralità dell'architettura moderna. Così erano quei personaggi, che comunque non si privavano degli agi che ad essi consentiva, sia materialmente che moralmente, la loro condizione sociale.
Oggi gli immobiliaristi d'assalto se ne fregano di tutto questo. Tirano giù senza alcun riguardo ciò che la borghesia che li ha preceduti aveva costruito per sé o per dare in affitto, conferendo anche al circostante spazio pubblico una sua sottile qualità. Dilaga una sorta di furia iconoclasta, che dopo aver divorato molti resti dell'Ottocento, sta ora aggredendo la prima modernità, troppo contenuta e sobria, per far posto ad operazioni edilizie ad alta densità, sguaiate, mal disegnate, grossolane. Qualche volta arriva la zampata di una piccola archistar di turno, ma questo non riscatta gli esiti della distruzione.
Piccolo appello finale: cari rampolli della buona borghesia luganese (e ticinese) che siedete in buon numero nei municipi, nei consigli comunali e nei consigli d'amministrazione non vi sembrerebbe il caso di chinarvi un po' di più con amorevole filiale preoccupazione su queste, in fin dei conti, tutt'altro che spregevoli testimonianze? |