Alluminio, il Vallese perde pezzi

«La Svizzera e l’Europa non sono più concorrenziali a causa del prezzo troppo elevato dell’elettricità. Fino alla fine del 2005, l’energia rappresentava per noi il 25 per cento del prezzo dell’alluminio, ma con le tariffe attuali questa parte supera il 40 per cento. Andremmo in perdita. Possiamo per esempio ottenere dell’alluminio in Siberia orientale dove il prezzo dell’energia per l’elettrolisi oscilla tra 1,3 e 2 centesimi per chilowattora, mentre qui il prezzo di mercato supera i 7 centesimi!». In questi termini il portavoce di Alcan in Vallese Francis Veuthey ha spiegato al quotidiano vallesano Le Nouvelliste le ragioni della chiusura della fabbrica di elettrolisi di Steg entro la fine di aprile. La decisione era nell’aria da tempo ed è stata annunciata giovedì scorso suscitando indignazione e un coro di proteste da parte di sindacati, autorità politiche comunali e cantonali. L’ennesima ristrutturazione (l’attuale segue infatti quella in corso riguardante 110 lavoratori del comparto prodotti estrusi dello stabilimento di Sierre) costerà il posto a 180 persone (140 a Steg, 40 a Sierre). Non si sa ancora quanti verranno licenziati. In una nota diffusa giovedì scorso il colosso canadese dell’alluminio ha reso nota la decisione di chiudere la fabbrica di elettrolisi altovallesana di Steg entro la fine del mese di aprile. «Nelle condizioni attuali del mercato dell’energia e malgrado l’appoggio offerto dalle autorità vallesane, continuare a sfruttare la fabbrica porterebbe a perdite finanziarie considerevoli», ha dichiarato Wolfgang Stiller, presidente dell’unità d’affari Europa del Nord di Alcan. A detta dei vertici di Alcan, la chiusura della fabbrica di elettrolisi di Steg non avrà «alcuna incidenza» sulle altre attività del gruppo negli stabilimenti vallesani di Sierre e Chippis. Un’incidenza l’avrà invece sui 140 posti di lavoro legati alle attività di elettrolisi, così come su una quarantina di posti supplementari in funzioni di sostegno. Per tutti loro Alcan prospetta programmi di riqualifica interni, pensionamenti anticipati e un aiuto nella ricerca di un altro lavoro. Quella di Steg è una delle otto fabbriche (dette anche smelter) di Alcan in Europa occidentale nelle quali la bauxite viene trasformata in alluminio grazie al processo elettrochimico dell’elettrolisi. Ha una capacità di 44 mila tonnellate e consuma ogni anno all’incirca 600 milioni di chilowattora. Ed è proprio il prezzo dell’elettricità il cruccio di Alcan. L’attuale convenzione firmata nel 2000 per l’approvvigionamento in energia elettrica – scaduta il 31 dicembre 2005 – garantiva al gruppo un prezzo di 3,2 centesimi per chilowattora. Un prezzo senza alcun rapporto con la realtà attuale del mercato elettrico europeo. I costi dell’approvvigionamento in energia elettrica delle fabbriche di elettrolisi europee – non solo quella di Steg – sono infatti in costante aumento da anni, ciò che determina una tendenza a trasferire le attività di elettrolisi laddove i prezzi dell’energia sono inferiori, in particolare nei paesi asiatici e mediorientali. Già negli anni ’90 l’allora Alusuisse aveva pensato più volte di chiudere la fabbrica di elettrolisi di Steg. L’ultima volta tra il ‘99 e il 2000. Poi però la mobilitazione di sindacati, lavoratori, popolazione e autorità aveva bloccato qualsiasi velleità e consentito ai nuovi proprietari (Alcan nel 2000 assorbì Algroup, ex Alusuisse) di spuntare un prezzo dell’energia interessante. Ma che nubi minacciose si stavano ormai addensando sulla fabbrica altovallesana lo si era capito da mesi. In settembre, a Sierre, il numero 3 di Alcan Michel Jacques era stato chiaro: «Il prezzo dell’energia elettrica è troppo alto. Manterremo il sito di Steg fintanto che saremo capaci di garantirne la competitività». C’era poi stata l’entrata in gioco di un consorzio capeggiato dall’uomo d’affari vallesano Albert Bass, ma le trattative sono definitivamente naufragate a metà dicembre. E negli ultimi mesi il Consiglio di Stato vallesano si era detto pronto a fare concessioni sullo sconto energetico e aveva tentato di convincere i principali produttori di energia (le Forces motrices valaisannes e Enalpin) a rivedere verso il basso le loro pretese. Invano. Alla fine Alcan si è ritrovato con un’offerta su tre anni a un prezzo superiore a 7,5 centesimi per chilowattora. Troppo. Sarà troppo anche per Mister Prezzi, che una delegazione dei sindacati Unia e Syna ha incontrato mercoledì a Berna (al momento di andare in stampa l’esito dell’incontro non era noto)? Si vedrà. All’annuncio della chiusura dell’elettrolisi di Steg, il Consiglio di Stato vallesano ha risposto chiedendo ad Alcan di posticipare la cessazione delle attività. Contatti sarebbero in corso con un gruppo internazionale quotato in borsa, ha detto il consigliere di stato Jean-Michel Cina. Da parte sua il sindacato Unia parla di «atto d’arroganza senza alcun fondamento economico». «C’erano dei negoziati con dei possibili acquirenti, contatti con i politici, e il sindacato aveva annunciato che avrebbe presentato a Joseph Deiss un progetto globale sul futuro del settore dell’alluminio in Vallese. Inoltre, dopodomani [mercoledì per chi legge, ndr] una delegazione di Unia incontrerà Mister prezzi. Tutti insomma stavano cercando delle alternative, perlomeno per posticipare la chiusura dell’elettrolisi a Steg. Alcan lo sapeva: per questo diciamo che sono arroganti. Vogliono chiudere e basta: il prezzo dell’elettricità è uno degli elementi; ha il suo peso, certo, ma c’era un margine di manovra che non si è voluto sfruttare», dichiara ad area Fabienne Blanc-Kühn, membro della direzione di Unia. Una fuga in avanti, insomma, che – contrariamente alle rassicurazioni di Alcan – potrebbe portare prima o poi a un ulteriore ridimensionamento delle attività del gruppo in Vallese. «Le persone che lavorano nei siti Alcan di Sierre e Chippis mi dicono che prima o poi ci sarà un effetto domino. Io non credo a ciò che afferma Alcan», dice Fabienne Blanc-Kühn. Intanto, ieri sera a Steg si è tenuta un’assemblea sindacale aperta al pubblico. Ed entro la fine della prossima settimana Unia presenterà un progetto sul futuro del settore dell’alluminio in Vallese. Servirà a qualcosa? Alcan, 300 posti in meno in pochi mesi La grande fusione tra Alcan, Algroup (ex Alusuisse-Lonza, incorporata nel 2000) e la francese Péchiney (2003) ha issato il gruppo canadese al secondo posto dei produttori mondiali di alluminio dietro la statunitense Alcoa. Alcan possiede 470 stabilimenti in 56 paesi e impiega 70 mila persone. Possiede e sfrutta in tutto il mondo diverse miniere di bauxite (la roccia dalla quale si estrae l’allumina) e fabbriche di allumina, una polvere che viene trasformata in alluminio (o metallo di prima fusione) tramite elettrolisi in fabbriche come quella di Steg (vedi articolo principale). Oltre agli imballaggi, Alcan produce laminati di vario tipo, profilati, e cavi, ecc. per le industrie elettromeccaniche, aeronautica, ferroviaria, automobilistica e dei trasporti marittimi. La Alcan Aluminium Valais Sa – costituita nel 2000 con l’incorporazione della Algroup (erede della storica Alusuisse-Lonza) – è una filiale del gruppo Alcan. A seguito delle ultime ristrutturazioni (110 impieghi in meno nel comparto estrusione a Sierre; 180 in meno a Steg e Sierre), gli effettivi si ridurranno a 900 unità circa. La società possiede i siti di Steg (fonderia ed elettrolisi per la produzione di alluminio di prima fusione inviato poi ai siti di Sierre e Chippis), Chippis (fonderia) e Sierre (comparto estrusione con le presse per la produzione di profilati; laminatoio). Nell’agosto 2004 il laminatoio nord del sito di Sierre – fiore all’occhiello degli stabilimenti vallesani, che produce laminati di qualità per carrozzerie di automobili – è stato ceduto in leasing alla costituenda Novelis, società che ha ricevuto in dote diversi laminatoi di Alcan e della francese Péchiney. L’industria dell’alluminio in Vallese ha una lunga tradizione. L’Alusuisse, fondata nel 1888, è sempre stata uno dei maggiori datori di lavoro del cantone. Nel ’73 assorbì la Lonza. Poi negli anni ’80 cominciò la crisi. Diverse ristrutturazioni portarono a un calo degli effettivi. Una tendenza che da allora non si è mai invertita.

Pubblicato il

20.01.2006 02:00
Stefano Guerra