Allarme squali della finanza

Implenia, Saurer, Sulzer, Ascom, Swissmetal: gli squali della finanza saccheggiano il nostro patrimonio industriale. Non è un incidente di percorso: il capitale finanziario ha infatti preso il sopravvento nell'odierno capitalismo reale. E lo trasforma. Oggi sono i fondi e gli amministratori di patrimoni a dettare le regole. Eppure in Svizzera più di un milione di persone continua a lavorare nell'industria, un settore che garantisce il 73 per cento delle nostre esportazioni, una quota in costante crescita. Per questo occorre avere le idee chiare sull'industria. Il sindacato Unia ha elaborato delle strategie specifiche. In esse Unia si riconosce nell'industria, un settore nel quale vuole rafforzare la sua presenza e migliorare le condizioni di lavoro. Il sindacato inoltre chiede una nuova politica industriale più decisa da parte dello Stato e un patto per una riconversione ecologica. Perché il rilancio dell'industria in Europa può passare solo attraverso l'ecologia e le nuove tecnologie. Ma questo potrà riuscire soltanto se si riuscirà ad opporsi efficacemente al capitale finanziario: perché saccheggiando le imprese gli hedge-fund e le banche non fanno che distruggere l'industria svizzera.

Lo scorso 11 giugno la disperazione è tornata a farla da padrone fra le maestranze della Boillat di Reconvilier: quel giorno l'hedge-fund Laxey ha infatti ordinato altri 208 licenziamenti nei tre stabilimenti del gruppo industriale Swissmetal. Già due volte i lavoratori di Reconvilier hanno scioperato contro la distruzione dell'impresa e contro l'annientamento del suo patrimonio industriale. Hanno dovuto prendere atto di come Laxey e il Ceo di Swissmetal Martin Hellweg hanno ignorato le loro proposte per migliorare la produzione, di come si sono persino presi gioco del piano proposto da Jürg Müller, l'esperto industriale incaricato dal Consiglio federale. Evidentemente ai manager finanziari di Swissmetal la produzione industriale non interessa, e questo benché i prodotti, le competenze e il lavoro alla Boillat siano certamente concorrenziali. Amareggiati e impotenti, i lavoratori e le lavoratrici di Reconvilier devono stare a guardare come Hellweg intende buttare all'aria l'intero gruppo Swissmetal affinché Laxey lo possa vendere al miglior offerente con un bel margine di profitto. «È evidente che loro e noi non viviamo più nella stessa economia», dice una ex quadro della Boillat nel frattempo licenziata.
Sapere in quale economia si lavori e come questa funzioni è utile se si vuole stipendi dignitosi, buone possibilità per tutti, benessere, sicurezza sociale. Ma il capitalismo s'è ormai radicalmente trasformato. È ciò che stanno sperimentando in questi tempi le maestranze di Alcan, Saurer, Sulzer, Implenia, Ascom, Converium, Oc Oerlikon, Sig e Affichage. E come certamente dovranno presto sperimentare i lavoratori e le lavoratrici di Schweiter, Georg Fischer, Sez, Rieter e altri gruppi ancora: sono diventati il giocattolo di hedge-fund come Laxey, di Private Equity Fond vari, di banche e di bizzarre società d'investimento come la Victory degli austriaci Ronny Pecik e Georg Stumpf o la Renova dell'oligarca russo Viktor Vekselberg. Il capitale finanziario sta facendo a pezzi il vecchio capitalismo per ricostruirne uno tutto nuovo – con regole completamente diverse. In questo processo ci si preoccupa sempre meno di costituire grossi conglomerati. Pecik/Stumpf ad esempio non hanno ancora nessun concetto su come integrare la Sulzer nel gruppo Oerlikon. Ma ad averli attratti sono state le ben fornite casse della Sulzer (300 milioni di franchi) e i suoi miliardi di riserve occulte. E il destino delle maestranze di tutti questi gruppi industriali non dipende nemmeno dal fatto se producono e vendono tanto e bene (la maggior parte è ben messa). Il loro destino dipende unicamente da quale strategia hanno in mente i finanzieri: smembramento? Saccheggio delle riserve? Ristrutturazione e vendita?
Negli hedge-fund il saccheggio è addirittura il principio dichiarato della loro strategia. E a questo punto diventa chiaro che la benzina del nuovo capitalismo non è più la creazione di valore, cioè la produzione, ma una realizzazione sempre più veloce della sostanza precedentemente accumulata, la circolazione sempre più veloce di soldi, capitale, valore.
È un processo difficile da capire se si pensa che soltanto il lavoro possa generare del valore. E che l'intera economia ruota attorno alla domanda su come si possa organizzare il lavoro in maniera ragionevole per redistribuirne poi il valore creato. Nella maggior parte delle imprese le cose funzionano così ancora oggi. Con una gamba siamo ancora nel vecchio capitalismo, ma con l'altra siamo già in pieno nel capitalismo finanziario: lo dimostra l'assalto dei finanzieri a mezzo sistema industriale svizzero. Ma nella sala di comando il capitale finanziario ha già preso il posto da un pezzo del capitale industriale. Lo dimostra ad esempio il fatto che i più grossi gruppi mondiali attivi nella produzione si stanno orientando da soli secondo le regole del capitale finanziario – e che, già che ci sono, si comportano direttamente da banca o da hedge-fund. Volkswagen ad esempio fa più soldi operando sui mercati finanziari che non con la vendita di automobili.
Ma come funziona tutto questo? In circolazione ci sono enormi quantità di denaro. Sommando tutti i mercati finanziari, fra poco la somma di divise, azioni, derivati, titoli di debito di ogni genere, crediti eccetera sarà pari ad 80 volte la quantità di denaro che l'intera economia mondiale è in grado di produrre in beni e servizi. Ma è ancora vero denaro quello che circola nei mercati finanziari? Se il denaro è qualcosa dietro cui sta un valore, la risposta non può che essere: no.
Facciamo un esempio: prendiamo una qualsiasi carta valore emessa dalle banche, che si tratti di scommesse su un indice borsistico o su un qualsiasi altro indice (i cosiddetti certificati indice). Posso dunque scommettere che la Borsa cresca o crolli, e se scommetto bene ci guadagno. Ma non guadagno con il corso di un'azione, dietro alla quale c'è un'impresa reale con edifici, macchine e lavoratori: il mio guadagno si fa sulla base di un segno più o di un segno meno relativo all'andamento del mercato borsistico. È un guadagno del tutto virtuale. Di valore in questo modo non ne viene creato. Questo però non mi è subito chiaro: infatti con i soldi che ho guadagnato posso pagare il conto al ristorante o comperare delle azioni, partecipando così ad un'impresa. Per me personalmente si tratta dunque di denaro reale. L'ho portato via a qualcuno, come in ogni normale scommessa? No. Tutto è stato creato dal nulla, attraverso la semplice emissione di una carta valore.
È secondo questo principio creditizio che funziona il capitalismo finanziario. Sulla base di un valore reale (di una ditta o, nel nostro esempio, del prezzo che ho pagato per l'emissione di una carta valore riferita ad un indice borsistico) si produce la creazione di un credito che in soldi vale un multiplo del valore originario.Soldi virtuali, accumulazione fantasma. Gli hedge-fund possono mettere in movimento attraverso crediti e operazioni-leva una massa di soldi pari a 200 volte il valore iniziale del capitale investito.
Semplicemente con la produzione, con gli investimenti e con un'espansione sostenibile dell'impresa non si può reggere questi ritmi. Da qui la necessità di depredare la sostanza dell'impresa. Da qui la diffusione di una mentalità speculativa a tutti i livelli. Da qui il panico in tutte le istituzioni chiamate a regolare i mercati finanziari. Per i lavoratori e le lavoratrici e per i loro sindacati si pone un problema nuovo: nel capitalismo finanziario si sbriciolano sempre più i presupposti imprenditoriali del partenariato sociale. Dei progressi, anzi: anche soltanto il mantenimento delle attuali conquiste sociali, saranno possibili soltanto se si saprà porre dei limiti al capitalismo finanziario.


L'ecologia salverà l'industria

Proprio ieri a Zurigo s'è tenuta la prima "Giornata dell'industria", convocata da Johann Schneider-Ammann, consigliere nazionale Plr e presidente di Swissmem, l'organizzazione padronale dell'industria. Una giornata che, ad un certo punto, sembrava dovesse chiamarsi anche "Landsgemeinde contro gli squali della finanza stranieri". Come oratori Schneider-Ammann ha invitato, fra gli altri, anche Josef Ackermann, Ceo di Deutsche Bank, e il consigliere federale Christoph Blocher. Proprio loro! Blocher è colui che con lo speculatore finanziario Martin Ebner aveva ad esempio fatto a pezzi la Alusuisse per venderla al miglior offerente. E la Deutsche Bank è implicata in quasi tutte le scorribande degli hedge-fund. Fra l'altro la Deutsche Bank detiene un quarto del capitale della Sulzer – in forma di opzioni. Proprio Ackermann a Zurigo ha un grosso team di specialisti in derivati incaricati di scorrazzare sull'intera economia svizzera.
Eppure il disagio di diversi datori di lavoro al cospetto del capitalismo finanziario probabilmente è autentico. Temono di perdere il controllo delle loro imprese. Ma la loro analisi per ora non va molto lontano. Certo in parlamento Schneider-Ammann s'è impegnato per un leggero inasprimento del diritto azionario. Ma è troppo poco per porre dei reali limiti al capitalismo finanziario. Il sindacato Unia vuole invece fare in modo che non ci si fermi qui. E affronta di petto il tema nel suo concetto industriale 2020. Secondo André Daguet, membro della direzione di Unia, «dobbiamo rafforzare l'organizzazione, strappare dei contratti migliori, favorire la riconversione ecologica. Se non adottiamo delle contromisure nei confronti del capitale finanziario, presto i fondi d'investimento saccheggeranno le industrie, le faranno a pezzi e le annienteranno».
Gli hedge-fund non sono dei partner sociali. Non vogliono produrre. Contro di loro le tradizionali strategie sindacali si dimostrano spesso del tutto inefficaci. «Cosa dovremmo fare», si chiedeva un sindacalista attivo nell'edilizia quando l'hedge-fund Laxey aveva dato l'assalto al gruppo Implenia, «dovremmo forse fare uno sciopero sul cantiere della Neat?».
Unia potrebbe fare tre cose:
•    Come forza sociale più importante del paese può costituire un'ampia alleanza contro il capitalismo finanziario. In questo modo si potrebbero lanciare alcuni interessanti dibattiti, ad esempio sul ruolo delle banche cantonali.
•    In secondo luogo Unia potrebbe promuovere una regolamentazione dell'industria finanziaria. Principi guida: trasparenza, obbligo di rendere conto e attenta vigilanza. Ad esempio una futura autorità di vigilanza sul mercato finanziario dovrebbe ricevere un chiaro mandato e avere i necessari strumenti d'intervento per adempierlo. Fra l'altro dovrebbero essere proibiti il prestito di azioni così come le azioni al portatore, certe forme di opzioni nonché la rimunerazione dei manager attraverso opzioni. Gli hedge-fund dovrebbero come minimo essere obbligati a fare trasparenza sui loro investitori e sulle loro attività; si dovrebbero inoltre considerare la proibizione o almeno un'ampia regolamentazione di certe forme di fondo. Eppoi: un diritto di voto progressivo per gli azionisti (chi detiene le azioni da più tempo ha più voti) o sospensione del diritto di voto sulle azioni detenute dagli hedge-fund, trasparenza su tutte le operazioni effettuate fuori dalla borsa, …
•    Ancor più esplosiva è la terza leva che le maestranze hanno in mano, spesso senza nemmeno rendersene conto. 650 miliardi di franchi sono depositati nelle casse pensioni, e una parte di questi enormi capitali viene già oggi impiegata per operazioni di capitalismo finanziario. Lo si può però impedire. Questi soldi devono essere ritirati dai fondi speculativi e ripresi da fondi etici che operano investimenti sostenibili. Il dibattito sarà piuttosto scomodo, perché le lavoratrici e i lavoratori sono interessati ad un'alta redditività dei loro averi di cassa pensione. Ma come dice un sindacalista del settore chimico: «amministriamo 7 miliardi e le nostre azioni sono state prestate da una banca ad un hedge-fund. Lo dovremmo impedire. Perché è assurdo che io cada sotto i colpi di una razionalizzazione decisa con i soldi risparmiati per la mia vecchiaia».

Pubblicato il

29.06.2007 01:00
Oliver Fahrni