L'editoriale

La realtà del mondo del lavoro dovrebbe suggerire l’adozione di norme che rafforzino i diritti e la tutela della salute dei salariati, soprattutto in Svizzera, dove la legislazione sul lavoro è storicamente tra le più deboli d’Europa, minimalista, “essenziale” (come la definisce, prendendola a modello, un rottamatore di diritti come l’ex presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi). Eppure, la cronaca parlamentare e politica delle ultime settimane fa registrare un nuovo pesante attacco concentrico della destra e del padronato, il cui scopo è quello di smantellare ciò che resta, di cancellare dalla legge le più elementari forme di protezione delle lavoratrici e dei lavoratori.


È in questa logica che s’inserisce la recente approvazione da parte della Commissione dell’economia e dei tributi del Consiglio degli Stati di due atti parlamentari che chiedono un allentamento dell’obbligo di registrazione del tempo di lavoro e una riduzione di quello di riposo per i lavoratori “con funzioni direttive” e per gli “specialisti”. Apparentemente si tratta creare delle eccezioni per pochi, ma non è così. All’interno delle imprese le “funzioni direttive” sono infatti assunte anche ai piani gerarchici più bassi e molti lavoratori hanno un’ottima formazione e sono specializzati. Queste persone continuerebbero dunque a percepire un salario inferiore a quello dei quadri dirigenti dell’azienda ma, come loro, non dovrebbero più registrare le ore di lavoro. Una prospettiva inquietante, che si tradurrebbe con il mancato pagamento degli straordinari e con la perdita di una serie di diritti in termini di durata massima della giornata e della settimana lavorativa, di tempo minimo di riposo, ma anche con incontestabili danni alla salute psichica e fisica.


Tutti gli studi condotti attestano del resto che lo stress rappresenta uno dei principali problemi dell’odierno mondo del lavoro e che esso è favorito dalla crescente difficoltà a porre un confine tra lavoro e tempo libero.
Quello della Commissione degli Stati è dunque un attacco in piena regola alla salute di decine di migliaia di lavoratori, su cui pendono peraltro ulteriori minacce: settimana lavorativa di 60 ore, giornata di 15 e tempo di riposo ridotto da 12 a 9 ore «quando la mole di lavoro lo richiede», rivendicano per esempio la Società degli impiegati di commercio e l'Associazione impiegati definendo la Legge sul lavoro «non più al passo coi tempi». Su questo hanno ragione, ma la strada da imboccare è quella esattamente opposta.



Pubblicato il 

13.09.17
Nessun articolo correlato