All’arroganza, il popolo si ribella

La democrazia diretta è un bene di valore incalcolabile. Con il diritto di voto, essa offre ai cittadini la straordinaria opportunità di compiere scelte importanti per la vita della comunità di cui fanno parte, come pure quella, non meno straordinaria, di indirizzare il modo di “essere” e di “fare” del loro Stato. Non è per nulla scontato, purtroppo, perché non è un privilegio per tutti. Anche nell’Occidente democratico, Europa in primis, dove l’espressione popolare viene quantomeno fortemente ridimensionata. In questo contesto è fuor di dubbio che la Svizzera ha di che essere invidiata.


La democrazia diretta è anche una gran brutta bestia, per le insidie che essa nasconde e che dipendono dall’uso che i cittadini ne fanno. È vero che il popolo ha sempre ragione. È vero che non sempre questa ragione espressa con il voto viene poi suffragata da scelte politiche conseguenti. Ma è altrettanto vero che non sempre le scelte del popolo sono frutto della ragione. Il cosiddetto voto di pancia non è affatto un’invenzione giornalistica – detto così tanto per sparare sul solito pianista – quanto invece un’espressione il più delle volte dettata da contingenze temporanee, che a loro volta generano paura tra la gente e creano capri espiatori di tutti i mali della società contro i quali sfogarsi: l’impropriamente definita immigrazione di massa, tanto per intenderci.


Ma, la democrazia diretta ha soprattutto il grande pregio di permettere al popolo di ribellarsi all’arroganza e ai soprusi, alle ingiustizie e alla squilibrata situazione tra chi gode e chi soffre. Non sempre il popolo ne approfitta, ma quando lo fa è capace di farlo bene. Come nelle votazioni dello scorso 12 febbraio, quando a livello nazionale ha sonoramente bocciato la terza riforma dell’imposizione delle imprese e a livello cantonale, nei Grigioni, l’idea di imbarcarsi in un’avventura olimpica. Nel primo caso evitando di scaricare sull’intera popolazione le nefaste conseguenze dei benefici fiscali di cui avrebbero beneficiato in pochi a scapito di tanti, nel secondo facendo chiaramente capire agli ambienti economici che è troppo comodo lanciare il sasso e poi nascondere la mano. Il 60 per cento dei votanti svizzeri ha rifiutato la logica di defiscalizzazione delle imprese a spese della collettività. E il 60 per cento dei votanti grigionesi ha rifiutato la logica di scaricare sull’intera collettività i costi di un’operazione venduta come il toccasana dei mali che affliggono l’economia cantonale.
Ad accomunare i due risultati è il sonoro schiaffo dato dal popolo a quelle componenti ottuse e arroganti della politica e dell’economia che continuano ostinatamente a credere, quindi a comportarsi di conseguenza, di poter dettare legge facendo valere la legge dei numeri e imponendo atti di forza. Vi pare poco?

Pubblicato il

22.02.2017 10:29
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