Il numero 3 di Alcan Michel Jacques era arrivato a metà settembre a Sierre e l’aveva lasciato intendere: «Il prezzo dell’energia elettrica è troppo alto. Manterremo il sito di Steg fintanto che saremo capaci di garantirne la competitività». Poco più di due settimane dopo, la notizia: trattative preliminari sono in corso per la cessione della fabbrica altovallesana di elettrolisi che produce alluminio di prima fusione e impiega circa 140 persone. Un annuncio che in Vallese è accolto con scetticismo, e che in molti rafforza i timori di un “effetto domino” che prima o poi coinvolgerà i tre siti Alcan di Steg, Sierre e Chippis. Timori alimentati dopo che Alcan (ex Alusuisse e Algroup) a metà giugno aveva annunciato la soppressione di 110 posti di lavoro nel comparto prodotti estrusi dello stabilimento di Sierre (vedi area n. 30 del 23 settembre 2005). Con uno stringato comunicato, Alcan ha annunciato lunedì l’apertura di trattative preliminari con un consorzio capeggiato da Albert Bass, uomo d’affari altovallesano, titolare di una fiduciaria a Naters e tra l’altro vicepresidente del consiglio d’amministrazione della Banca cantonale vallesana. Secondo il quotidiano vallesano Le Nouvelliste, Bass sarebbe affiancato da commercianti del settore metallurgico, in particolare da rappresentanti della ex Glencore (società basata a Zugo che già nel 2000 pareva interessata a rilevare la fabbrica) e della Trimet Sa, che nel ’94 acquistò dall’allora Alusuisse lo stabilimento di Essen, in Germania. I contatti preliminari tra Alcan e i potenziali acquirenti riguardano solo la fabbrica di elettrolisi (dove lavorano 140 persone circa), non la fonderia del sito di Steg (circa 180 persone). La vendita è solo una delle opzioni, ha precisato all’Ats il direttore dei siti vallesani di Alcan Daniel Anliker. Quella di Steg è una delle otto fabbriche (dette anche smelter) di Alcan in Europa occidentale nelle quali la bauxite viene trasformata in alluminio grazie al processo elettrochimico dell’elettrolisi. Nel 2004 la sua capacità è stata di 44 mila tonnellate. L’alluminio viene in buona parte spedito a Sierre, al comparto estrusione di Alcan e a Novelis, società costituita nel 2004 a seguito dello scorporo del laminatoio nord dello stabilimento Alcan. L’elettrolisi richiede grossi quantitativi di energia elettrica. La fabbrica di Steg consuma ogni anno all’incirca 600 milioni di chilowattora. L’attuale convenzione per l’approvvigionamento in energia elettrica scade però a fine anno. Il prezzo di mercato odierno è di circa due volte superiore a quello che la convenzione garantisce dal 2002 ad Alcan (3,2 centesimi per kWh). Dai negoziati finora è trapelato poco o nulla, ma il numero 3 di Alcan Michel Jacques aveva fatto capire a metà settembre a Sierre che i margini di manovra per raggiungere un compromesso erano assai ridotti. I costi dell’approvvigionamento in energia elettrica delle fabbriche di elettrolisi europee sono in costante aumento da anni. Il problema non riguarda solo Steg. È il futuro stesso dell’elettrolisi in Europa ad essere in pericolo. Il responsabile dell’Associazione europea dell’alluminio Dieter Braun lo aveva detto in modo chiaro mesi orsono in occasione di un congresso svoltosi a Vienna: «La liberalizzazione dei mercati energetici (...) finora non ha portato ad alcuna riduzione dei prezzi dell’energia, al contrario! (...) Negli ultimi cinque anni le fabbriche di elettrolisi europee hanno fatto un salto nella curva dei costi internazionale che le rende adesso relativamente care. Ciò pregiudica seriamente la loro capacità di competere su un mercato globale». «Se questa tendenza continua – prevede Braun – produrre alluminio di prima fusione in modo competitivo nei paesi dell’Ue diventerà impossibile!». Negli anni ’90 l’allora Alusuisse aveva pensato più volte di chiudere la fabbrica di elettrolisi di Steg. L’ultima volta tra il ‘99 e il 2000, ma la mobilitazione di sindacati, lavoratori, popolazione e autorità aveva bloccato qualsiasi velleità e consentito ai nuovi proprietari (Alcan nel 2000 assorbì Algroup, ex Alusuisse) di spuntare un prezzo dell’energia interessante, un prezzo che non ha più nulla a che vedere con le condizioni attuali del mercato elettrico svizzero ed europeo. Che spinge Alcan a voler vendere, ma che apparentemente non spaventa i potenziali acquirenti. È proprio questa discrepanza ad alimentare i timori. Gli investitori non sono solo una cortina fumogena che permetterà a fine anno ad Alcan di cavarsela con un: “abbiamo fatto di tutto, ma siamo obbligati a chiudere”? È quanto ipotizza il segretario della sezione altovallesana di Unia (vedi box), che come molti in Vallese vede profilarsi all’orizzonte uno scenario nel quale la chiusura dell’elettrolisi a Steg segnerebbe al contempo il destino dei siti di Sierre e Chippis. German Eyer è segretario della sezione altovallesana di Unia e deputato socialista al Gran consiglio. È convinto che anche con un prezzo di 6 centesimi per chilowattora (più o meno le offerte attuali, mentre il prezzo in vigore è di 3,2 centesimi) la fabbrica di elettrolisi di Steg rimarrà redditizia. «Non faranno più benefici netti del 10-15 per cento, si dovranno accontentare di ridistribuire agli azionisti benefici inferiori, tutto qui», dichiara ad area. Cosa glielo fa credere? «I nostri calcoli, e lo dicono anche al dipartimento cantonale competente: a 6 centesimi/kwh l’elettrolisi di Steg è redditizia». German Eyer parla di «grande insicurezza» tra i lavoratori. Preferirebbe che Steg resti nelle mani di Alcan piuttosto che finire in quelle di «imprenditori che prestano più attenzione alla borsa che ad altro, interessati a guadagnare qualcosa prima di andarsene». «Di loro comunque non sappiamo molto», ammette. Che ha l’impressione che «da un lato Alcan stia cercando di mettere sotto pressione il governo vallesano, dall’altro che il gruppo di investitori potrebbe servire ai dirigenti di Alcan per affermare un giorno: “abbiamo tentato di tutto, ma adesso bisogna chiudere». Teme un “effetto domino”? «Sì», risponde il sindacalista e granconsigliere vallesano. «E se chiude l’elettrolisi di Steg anche Sierre e Chippis sarebbero in pericolo. Temo che Steg sarebbe il primo passo verso la partenza di Alcan dal Vallese». Intanto, Unia ha scritto al direttore di Alcan in Vallese, Daniel Anliker, chiedendo un incontro. Il sindacato ha proposto anche una tavola rotonda con gli attori interessati: governo, responsabili della En-Alpin (i principali fornitori di energia), politici locali e sindacati. Nulla da temere in Svizzera La Svizzera non è la Francia. E non è nemmeno il Belgio, dove esiste «un forte potere dell’amministrazione e dei sindacati». La Svizzera e il Vallese non necessitano pertanto di «un’attenzione speciale». La «procedura normale» è sufficiente: affinché la componente elvetica del progetto di ristrutturazione giunga in porto, basta «spiegare con tatto le ragioni del piano» e «includere personaggi chiave dell’amministrazione nella lista dei contatti prioritari». In un documento interno del settembre 2004 il management di Alcan delineava obiettivi e strategie, paese per paese, del piano di ristrutturazione 2004-2006 riguardante l’Europa occidentale. Nel rapporto confidenziale intitolato “Creare il primo gruppo mondiale dell’alluminio e dell’imballaggio”, il colosso canadese dell’alluminio metteva nero su bianco le sue intenzioni: in Europa occidentale devono sparire 2’200 posti di lavoro entro il 2006 (il 5 per cento dell’effettivo totale nel continente). Stando al quindicinale svizzerotedesco work che ha anticipato i contenuti del documento, in realtà a più lungo termine i posti da cancellare sarebbero 5’140. Un risultato da conseguire tra l’altro «minimizzando l’esposizione dei mass-media al piano globale», «dividendo la negoziazione con i lavoratori per ottimizzare il costo sociale» e «riducendo il rischio di mobilitazione “europea”». Gli obiettivi sono «mantenere il controllo del processo in Europa», «ridurre il rischio politico e di comunicazione non proponendo alternative positive al piano di ristrutturazione», «assicurare una messa in atto rapida e quindi uno sfruttamento rapido delle sinergie identificate» e infine «rafforzare la credibilità di Alcan in Europa». Strategie e obiettivi che Alcan sta portando avanti anche in Vallese, dove la multinazionale – che nel suo rapporto strategico aveva ipotizzato l’assenza di resistenze significative – intende andare fino in fondo dopo aver annunciato in giugno la soppressione di 110 posti di lavoro nel sito di Sierre e, recentemente, l’avvio di negoziati preliminari per la cessione dell’elettrolisi di Steg (vedi sopra).

Pubblicato il 

07.10.05

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