Al via una campagna nazionale contro ogni discriminazione

A vent'anni dall'introduzione della norma penale contro il razzismo molti problemi restano aperti

Razzismo. Non bisogna mica andare indietro ai tempi della tratta dei neri o dell’olocausto degli ebrei. Basta aprire un social network e leggere uno dei tanti “affondateli” riferiti ai barconi dei migranti o al “ruspe sui campi rom” di Matteo Salvini per capire che le crociate a base d’odio sulla discriminante razziale o etnica sono sempre tristemente di moda. Con tutti i rischi – di violenza, soprusi, emarginazione – a esse connesse. La Svizzera lancia una campagna di prevenzione rivolta in particolare ai giovani, affinché siano migliori di chi li ha preceduti.

Era il 1994 quando il popolo svizzero si pronunciò a favore dell’articolo 261 bis del Codice penale, consentendo così alla Svizzera di aderire alla convenzione dell’Onu contro la discriminazione razziale. La norma non aveva solo un carattere repressivo, ma assolveva anche una funzione preventiva e simbolica. L’articolo non sanziona le opinioni razziste personali, ma proibisce unicamente gli atti discriminatori. Per essere punibili questi atti devono essere pubblici e risultare gravemente denigratori e lesivi della dignità umana. Un esempio lo abbiamo avuto recentemente quando nelle scorse settimane Marcel Toeltl, un politico sangallese dell’Udc, è stato condannato con un decreto d'accusa a una pena pecuniaria con la condizionale di 50 aliquote giornaliere per discriminazione razziale. Che cosa aveva detto di tanto grave? Il presidente dell’Udc di St. Margrethen aveva scritto sul suo blog che i profughi di Eritrea e Siria provengono da paesi dove il quoziente d’intelligenza è «provatamente molto basso» e sono dunque «da un punto di vista economico fuori posto nel nostro paese», tanto che «non ci sarà mai, ma proprio mai, un lavoro per tutte queste persone».


Secondo il decreto d’accusa, il nostro intelligentone, perché tale deve ritenersi Toeltl, con il suo «giudizio sprezzante dato in blocco» ha leso la dignità umana dei cittadini di questi paesi.


Queste sparate sono pericolose come tutto il quadro di frasi, slogan propagandistici e retorica stigmatizzante che amplifica e replica stereotipi e pregiudizi negativi, sfociando nel rischio concreto di una graduale sedimen-
tazione ed escalation di comportamenti razzisti. Fa male a coloro che ne sono vittime, ma all’abitabilità generale di una società che diventa più intollerante e meno vivibile in santa pace.


Non c’è solo il caso idiota di chi definisce qualcuno meno intelligente per una questione di passaporto: si registrano casi quotidiani di razzismo, come gesti di bullismo di giovani nei confronti di coetanei ad esempio. O il disprezzo neanche più strisciante per tutti coloro che provengono dal sud del mondo. Tanto che gli immigrati si stanno trasformando nel bersaglio di un odio immotivato, che vede lo straniero responsabile di tutto ciò che non va.


Il razzismo non è unicamente indirizzato verso lo straniero, ma anche a gruppi di persone, per motivi di idee, di sesso, di religione. I politici tra di loro, i tifosi, gli omofobi verso i gay, i normodotati nei confronti dei disabili. L’unica colpa che giustifica il sopruso è il convincimento che queste persone non siano come noi e quindi non meritano i nostri stessi diritti. Ce lo insegnano i precedenti storici: se io sono fatto a immagine e somiglianza di Dio, e tu non mi assomigli, significa che vali meno. Sei meno umano (o divino) di me e in virtù di questo io posso auspicare che il barcone su cui fuggi, rischiando la pelle, venga abbattuto dai colpi di una nave da guerra.
Sono derive pericolose quelle con cui delle persone vengono chiamate con disprezzo negri, terroni, mongoloidi, puttane. La lotta al discorso dell’odio in rete è una delle priorità della campagna nazionale che la Commissione federale contro il razzismo (Cfr) lancerà la settimana prossima, giovedì 25 giugno, in tutto il paese. Iniziativa che si chiama, non a caso, “Svizzera variopinta” per sottolineare che i nostri 26 cantoni compongono per tradizione un paese eterogeneo e che proprio da questa sua eterogeneità trae la sua ricchezza e la sua bellezza. Ribadendo che nessuno deve essere discriminato per la sua origine, la sua religione, la sua appartenenza etnica o il colore della sua pelle. È intollerabile.  


L’obiettivo è di sensibilizzare ai temi del razzismo e della tutela dalla discriminazione nel web. Il target principale sono i giovani di oggi, che diventano così gli ambasciatori ideali di una Svizzera variopinta, ossia di una Svizzera caratterizzata dalla pluralità culturale, religiosa ed etnica. In quanto nativi digitali, i ragazzi possono sfruttare la loro affinità con le moderne tecnologie di comunicazione per instaurare un dibattito pubblico e un atteggiamento di fondo apertamente antidiscriminatori.


Il 25 giugno, in occasione della cerimonia ufficiale d’apertura della campagna, la presidente della Cfr Martine Brunschwig Graf e il consigliere federale Alain Berset inaugureranno a Berna una speciale piattaforma virtuale che sarà gestita dai giovani. Classi scolastiche, gruppi e squadre di bambini, ragazzi e adolescenti si alterneranno per uno o più giorni nella gestione dei contenuti, postando commenti, contributi, immagini, video.
La campagna durerà sino alla fine di novembre 2015 e i docenti interessati possono trovare il materiale della campagna all’indirizzo www.settimanacontroilrazzismo.ch/it/programma/ticino/.
Si festeggiano i 20 anni dall’introduzione della norma penale contro la discriminazione razziale aderendo alla Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale e istituiva, non in una vuota prassi pro forma.


Il razzismo non è una parola da prendere poco in considerazione perché minaccia i diritti civili. L’ampia protezione dei diritti umani garantita nella Confederazione fa sì che molti cittadini svizzeri ne sottovalutino l’importanza. Siccome nel nostro paese non si corre ad esempio il pericolo di essere arrestati o maltrattati per avere criticato il Consiglio federale, per molti il divieto della tortura è irrilevante. Anche la libertà di religione e il diritto a un processo equo non sono in alcun modo messi in discussione. Il tema dei diritti umani è però spesso mediatizzato in relazione a stranieri, minoranze religiose o famiglie separate a causa dell’espulsione di un loro membro condannato per un delitto, il che rafforza la sensazione che questi diritti concernano sempre e soltanto gli altri. Deve invece riguardare anche il nostro approccio verso l’altro. Ricordando sempre che il razzismo costituisce una forma particolarmente grave di discriminazione, visto che il colore della pelle o l’origine fanno parte della personalità e dell’identità degli individui tanto quanto il sesso o l’età.


È un invito a non dare per scontati la civiltà e il fatto che esistono diritti e non privilegi dovuti a sentimenti di superiorità. Ognuno, del resto, si qualifica (e squalifica) con le proprie azioni indipendentemente da razza, credo od orientamento sessuale. Il razzismo resta, per dirla con Rigoberta Menchù, l’espressione del cervello umano ridotto ai minimi termini. Usiamolo dunque il cervello, per dire no alle semplificazioni.

Pubblicato il

17.06.2015 21:56