Al centro la sinistra si schianta

L’attualità francese offre qualche considerazione forse utile anche in casa nostra. In Francia abbiamo avuto: fine della presidenza Hollande, ritenuta ingloriosa e fossa del socialismo; vittoria di Macron, uscito dalla sinistra, già ministro di Hollande, definito ora centrista; due tendenze dominanti: filoeuropea (vincente) e antieuropea (Fronte nazionale), ma forse più: “mondialista” nonostante tutto (con promesse di correzioni) e “sovranista” ad ogni costo (prima noi).


La presidenza Hollande è stata vissuta non tanto nella difficoltà di far passare proposte socialiste, quanto nella confusione tra neoliberismo e social-liberalismo. Che ha disarmato la sinistra, alimentando la destra. La sinistra governativa ne ha pagato il prezzo. È innegabile che la sinistra ha cercato di opporsi all’ultraliberalismo o all’eccesso della finanza. È però anche vero che è stata ossessionata sia dal principio di competitività sia dal principio di produttività, poiché li ha ritenuti necessari sul piano economico (occupazione), ma neutri sul piano ideologico, utili sul piano sociale. Ciò che non risulterà mai vero se il lavoro rimane un costo da comprimere (competitività, dislocazioni) e il produttivismo l’essenza stessa dell’economia e la condizione della crescita (sempre più produzione per unità di lavoro). Quindi, essendo l’una e l’altro assiomi della politica neoliberista, assieme alle compiacenze fiscali, è pressoché logico che il quinquennio Hollande sia stato la continuazione di quello precedente, affibbiandogli così le etichette di liberista a sinistra e di impantanato a destra.


Macron, che esce dal governo Hollande per fondare il suo movimento né di destra né di sinistra e riesce ad imporsi, è quindi la vittoria del centro senza equivoci? Sinora c’è una sola certezza: è la chiara dimostrazione che il centro è il luogo della morte della sinistra.


È però anche dimostrato che la sinistra non può essere generica, non è neppure liberale o neoliberista perché rimane contraria al “laisser faire” e vuole regole e intervento dello Stato. Il neoliberismo non è più il “laisser faire”, con gli antichi miraggi del mercato autoregolatore o della passività dello Stato. Esso è la pervasiva logica che trasforma tutte le istituzioni e i campi sociali per sottoporli alle dittature della concorrenza e della performance. La società diventa schiava della presupposta razionalità del mercato, anche nei settori che non sono direttamente mercantili (servizio pubblico, ospedali, università). Lo Stato diventa attore insostituibile della co-produzione di norme con i poteri economici finanziari, con le multinazionali, con le istituzioni internazionali che gli sottraggono sovranità e democrazia. Questo è anche il vero senso del ricatto della competitività.
La conseguenza è triplice, come dimostra il caso francese: rafforza il centro che maschera il neoliberalismo, demolendo o fagocitando la sinistra, perché si ritiene che solo al centro ci sia l’alternativa democratica e rassicurante (Macron); fa emergere una sinistra della sinistra (Mélenchon), ma con un discorso sovranista e protezionista (antieuropeo e antimondialista in quanto distruttori della struttura sociale del paese, proprio a causa del principio di competitività), chiedendo il “ritorno dello Stato” regolatore e distributore; consolida la destra estrema che ha ancora facile gioco a incolpare gli altri per i mali della Repubblica (mondialismo, perdita della sovranità e dell’identità nazionali per le imposizioni degli organismi internazionali, immigrazione, incapacità governativa).

Pubblicato il

10.05.2017 21:02
Silvano Toppi