Aiuto sociale alle chiese, lo Stato si chiama fuori

La pratica della solidarietà verso i più poveri, gli emarginati e gli stranieri è un dato comune alla maggioranza delle religioni. In alcune è un precetto morale esplicito, per altre è implicito al loro discorso spirituale e teologico. Nella Bibbia, come nel Corano, esiste l’obbligo religioso di soccorrere anche sul piano materiale quanti siano nel bisogno, fornendo loro alimenti, vestiti, abitazione e lavoro, oltre al calore umano. Il buddismo, invece, usa il concetto di compassione per esprimere l’esigenza di non disgiungere completamente ricerca spirituale ed aiuto sociale. Sin dai tempi del Nuovo Testamento, per limitarci al cristianesimo, la comunità è diventata non soltanto luogo di culto, bensì pure di sostegno reciproco e di condivisione dei beni. Alcuni hanno definito “comunista ante litteram” la prassi dei primi cristiani, riuniti a Gerusalemme attorno agli Apostoli di Gesù Cristo. Si legge infatti negli Atti degli Apostoli: «la moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune»; ed inoltre: «nessuno tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l’importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli Apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo la necessità» (Atti 4,32.34-35). In realtà, come testimonia poche righe dopo lo stesso testo, le cose non sono sempre andate così, nemmeno tra i primi discepoli del Maestro di Galilea. Tuttavia le consuetudini apostoliche della messa in comune dei beni sono ben presto diventate fonte d’ispirazione per la vita comunitaria di gruppi monastici e congregazioni religiose, formatisi nel corso dei secoli. Anzi, alcuni sodalizi religiosi, a partire dal XVIII secolo, si sono specializzati nell’assistenza a malati, carcerati, orfani, ragazzi abbandonati, anziani, ecc. Monasteri, conventi, chiese, ospizi ed ospedali ecclesiastici sono stati per oltre un millennio gli spazi esclusivi in cui veniva praticata la cosiddetta carità agli indigenti. Con la costituzione degli Stati-nazione, la collettività politica ha iniziato a farsi carico del disagio sociale in maniera più sistematica. Ha assunto gradatamente compiti fino ad allora garantiti dagli enti religiosi: educazione, istruzione scolastica e professionale, sanità ed integrazione sociale. La legittimità di tale passaggio di consegne è incontestabile. Ciononostante nei tempi attuali, in molti paesi occidentali, i tagli ai preventivi pubblici riguardano (guarda caso) spesso le parti destinate a socialità e cultura. Non c’è da meravigliarsi che siano di nuovo le corporazioni religiose ed il volontariato a doversi attivare di fronte ai volti sempre diversi della povertà.

Pubblicato il

12.11.2004 13:00
Martino Dotta