Dolce casa

I conflitti fra inquilini sono da sempre un tema dibattuto. Tante le cause. Fra le più frequenti c’è l’occupazione degli spazi comuni, il rispetto dei turni in lavanderia sono un esempio classico. Anche i rumori la fan da padroni, soprattutto quelli provocati dai bambini. Non ci si ricorda più di esserlo stati o di aver avuto figli. Ma neppure si riflette sul fatto che gli spazi, una volta per antonomasia a disposizione del gioco, cortili, piazze e strade, ora sono preclusi ai bambini. Anche dei giardini dei palazzi si può godere solo la vista, non l’uso. Troppi i malumori, le lamentele e i litigi da dirimere, vietare è molto più facile. La tolleranza è merce rara e si è molto più propensi a cercare il difetto nel comportamento dell’altro che a interrogarsi sul nostro, che magari non è perfetto ma mai come quello del vicino di cui ci si lamenta. Insomma i problemi di convivenza sono difficili da risolvere.


Ci sono comunque dei rimedi, anzi delle tecniche di prevenzione, come ad esempio le associazioni di quartiere, vere fucine di iniziative rivolte all’accoglienza. Sono ancora poco conosciute, ma dove sono state create producono buoni frutti. La loro attività è indirizzata alla conoscenza reciproca fra inquilini e fra abitanti del quartiere, all’accoglienza dei nuovi arrivati, all’organizzazione di momenti di incontro e di condivisione, alla creazione di spazi da organizzare e gestire assieme. Esperienze che aiutano ad aprirsi all’altro, che facilitano gli scambi e la conoscenza e che contribuiscono a meglio capire, frequentare e accettare chi vive vicino a noi, ma magari ha altre origini, altre culture e abitudini o semplicemente è diverso da noi per carattere, disponibilità, interessi, età.


Altro buon esempio è lo “smart village”, iniziativa che attraverso la rete cerca di mettere in contatto persone che vivono nel paese o nel quartiere per scambi di ogni genere, di oggetti che si possono utilizzare in comune, di prestazioni quali accudire un pomeriggio i bambini, fare la spesa a un anziano e tanto altro. Questa iniziativa ne replica un’altra, nata all’inizio degli anni Novanta, “la banca del tempo” che si fondava proprio sullo stesso principio: offrire qualche cosa in cambio di altro, in quel caso si offriva del tempo che veniva messo a disposizione a parità di valore. Mi sembra bello constatare che a distanza di anni si riproponga, in chiave moderna e tecnologica, qualche cosa che oggi come allora contribuisce a farci conoscere e incontrare.

Pubblicato il 

22.11.18

Rubrica

Nessun articolo correlato