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Sono bambini e provengono da famiglie povere, da situazioni problematiche e non hanno spesso alcuna opportunità di vivere un periodo di vacanza sereno. Sono ormai più di 50 anni che Kovive – fondata in Svizzera grazie ad un appello dell’Abbé Pierre (si veda box) – si occupa di trovare delle sistemazioni di vacanza a bambini disagiati tedeschi, francesi ma anche italiani e svizzeri. Periodi brevi quelli offerti dall’associazione ai piccoli ospiti ma ugualmente importanti perché danno loro l’opportunità di staccare da situazioni talvolta estremamente difficili e preoccupanti. Sono importanti per quei piccoli – racconta Angela De Camilli, membro di Kovive – che spesso non hanno altre vie per vivere un’esperienza sana all’interno di una famiglia. Ma Kovive offre anche proposte di vacanze attrattive a basso costo per famiglie che altrimenti non potrebbero permettersele. D’altronde lo stesso nome, Kovive (letteralmente: “vivere assieme”), richiama proprio il concetto della convivenza solidale in Europa e in Svizzera. Così, raccontando semplicemente la propria esperienza, Angela lancia l’appello a famiglie e single affinché anche questo tipo di solidarietà continui a concretizzarsi. Angela De Camilli è sempre stata circondata dai bambini. Fin da ragazza, ricorda, si era detta che pur avendo dei figli biologici nella sua casa ci sarebbe stato spazio anche per dei bambini adottivi. Un percorso non comune il suo ma che racconta, nella sua eccezionalità, la normalità di una famiglia aperta e solidale. «Vivo con i bambini giorno e notte – ci spiega Angela – nel senso che di giorno lavoro nel preasilo “Al Boschetto” di Locarno-Solduno e a casa a Gordevio ho due figli naturali (che ora hanno 22 e 20 anni) e due figlie adottive di 15 e 14 anni. Dopo aver avuto un figlio biologico io e mio marito abbiamo cominciato a fare le pratiche per l’adozione di un bambino. Sono sempre stata convinta infatti che l’esperienza della maternità era sì importante ma altrettanto lo era quello di diventare madre anche per un figlio che non ho partorito. Siamo stati in India da Madre Teresa di Calcutta e finalmente abbiamo incontrato quella che sarebbe diventata nostra figlia, dopo un anno di trafila burocratica e viaggi. Ma il destino ha voluto che rimanessi nuovamente incinta e così, come prevede la legge, la prassi adottiva è rimasta sospesa per un po’ di tempo». Dopo il secondo figlio, Angela e suo marito fanno esperienza di diversi affidi. Quasi tutti riguardanti situazioni d’urgenza. «Avendo lavorato nel centro psicopedagogico dell’Istituto Miralago e conoscendo il mondo dei bambini con disturbi di carattere e altri problemi, ogni volta che si presentavano degli affidi d’urgenza si rivolgevano a me. Abbiamo anche ospitato un bambino psicotico per 15 mesi, forse i più lunghi della mia vita per le difficoltà a cui siamo andati incontro. Oggi, però vedendo che quel bambino è diventato un ragazzo con un’esistenza abbastanza serena, mi dico che l’esperienza sia valsa davvero la pena». Riuscire a vivere giorno e notte con bambini che non sono i tuoi e che sai che dopo un certo periodo ritorneranno nel loro ambiente familiare, non è cosa da poco, tanto più se questi presentano appunto dei seri problemi. «È così: un conto è ritrovarsi con dei casi tosti al lavoro dal quale dopo un tot di ore stacchi e altra storia è condividere la tua intimità con loro 24 ore su 24 e al contempo gestire anche i problemi che possono sorgere nella convivenza fra i figli affidatari e quelli naturali». Finita positivamente anche quest’esperienza con il bambino reinserito nella sua famiglia naturale, Angela e suo marito riaprono la domanda di adozione ma ancora un imprevisto blocca tutto. «C’erano due sorelline, di uno e due anni, della regione – spiega – che avevano urgente bisogno di essere allontanate dalla propria famiglia. Non riuscendo a trovare un’adeguata sistemazione sia per la penuria di posti, sia per la gravità del loro stato psicologico, io e mio marito, abbiamo valutato la situazione, e abbiamo deciso di accoglierle in famiglia. È stato un lavoro duro ma col tempo i loro problemi sono migliorati. Legalmente sono figlie affidatarie ma nella realtà sono nostre figlie a tutti gli effetti. Sanno chi è la loro vera madre e e conoscono i loro rispettivi padri». È solare Angela, e anche il suo modo di vestire è un’esplosione di colori, da dove però tiri fuori tutta la pazienza e la forza per accogliere così tanti bambini, davvero non si sa. Qualche anno fa poi è stata colpita da un tumore che fortunatamente è stato debellato. Ad aiutarla, dice, è stata anche la presenza di Lorelai, una bimba francese di 2 anni (proveniente da Champigny, quartiere periferico di Parigi), che 4 anni fa è arrivata a casa sua con Kovive. «L’associazione aveva urgenza di allontanare, fosse anche per un periodo breve, la bambina dal suo ambiente familiare solcato da una storia davvero difficile: una madre 45enne con problemi psicologici e 8 tra fratelli e sorelle quasi tutti di padri diversi, alcuni dei quali avevano abusato sessualmente delle sue sorelline (la più piccola a sei anni). Bisognava cercare staccare Lorelai dalla promiscuità del suo ambiente e offrirle un ambiente sereno e di “normalità”. Da allora la piccola viene nella nostra casa per diverse volte l’anno e ci resta per tre mesi: da alcuni anni la sua famiglia è comunque sotto il controllo dei servizi sociali francesi, gli uomini che hanno abusato delle sue sorelline in carcere e la madre con il dovuto sostegno cerca di fare il possibile per crescere decentemente i suoi fratelli». Per i figli di Angela non sempre questo continuo aprire le porte ad altri bambini è stato facile da accettare. «Già, non è sempre stato semplice – ricorda – far capire loro l’importanza della condivisione della nostra esperienza familiare con altri bambini meno fortunati. Col tempo però hanno sentito che l’affetto per loro passa anche attraverso la capacità che hai di estenderlo ad altri. Il constatare quanto siano migliorate le loro due sorelle affidatarie li rende molto orgogliosi e ora che sono cresciuti difendono la nostra scelta. E l’arrivo di Lorelai, col suo carattere dolce e solare li ha molto gratificati. Gli stessi amici ne sono impressionati. Ecco, l’avvicinamento all’apertura passa con l’esempio, col constatare che condividere quello che hai non ti priva di qualcosa ma ti arricchisce. I problemi? Sono gli stessi che puoi avere con un figlio naturale. E finché potrò continuerò ad aprire la mia casa, tanto più di questi tempi in cui la povertà cresce anche da noi, basta aprire gli occhi per rendersene conto». Angela non ha finito di raccontare la sua storia che nel bar dove ci troviamo entra una bella adolescente dalla pelle ambrata. La ragazza si avvicina al nostro tavolino dapprima timidamente, poi aprendosi in un sorriso accenna ad un saluto. Si chiama Saraann. È una delle due sorelline che 13 anni fa Angela prese con sé: nonostante tutti i problemi avuti da bambina ora è un’adolescente come tante altre, a testimonianza che figli si diventa e non solo si nasce. Una vacanza per i figli dei nuovi poveri È il 1954 quando l’Abbé Pierre denuncia via radio la morte per assideramento di un bambino francese nella ricca Parigi mentre – diceva allora – «migliaia di contemporanei vivono ben nutriti ed in caldi alloggi». La sua denuncia viene accolta da un 18enne svizzero, Peter Kuhn, che riesce a riunire un gruppo di giovani disposti a partire per la Francia e dare una mano al religioso francese nella creazione di alloggi per famiglie e bambini senza tetto. Due anni dopo lo stesso Kuhn si attiva per accogliere i numerosi profughi provenienti dall’Ungheria in seguito alla crisi scatenatasi nel paese. Da lì l’azione del giovane svizzero e degli altri volontari si incanala sempre più in due ambiti specifici: le colonie di vacanza e il collocamento di bambini presso famiglie ospitanti svizzere. Dal 1959, Khun accoglie centinaia di bambini con alle spalle storie di miseria, famiglie dissestate, prevalentemente francesi e tedesche. Con una grande rete di volontari viene fondata nel 1960 a Parigi l’ “Action fraternelle” e l’anno successivo nella regione tedesca della Ruhr l’associazione omologa tedesca. Col passare degli anni, l’associazione prende coscienza dell’aumento della povertà anche nella ricca Svizzera e nelle vacanze del Natale 1974 cominciano ad essere accolti i primi bambini provenienti da famiglie elvetiche in difficoltà. Nel novembre del 1985 l’ente di aiuto prende il nome di “Kovive” che – si legge nel sito dell’ente – “vuole esprimere l’intenzione di una convivenza solidale in Europa e in Svizzera”. Nel 2004, anno del suo 50 anniversario, Kovive stimava che nella sola e benestante Svizzera erano 250 mila i bambini costretti a vivere nella povertà. E negli altri paesi confinanti la situazione è altrettanto grave. Tanto che negli ultimi due anni i bambini accolti in Svizzera da Kovive, di cui circa 140 hanno trovato ospitalità in Ticino. Collaborando con la Croce rossa e con i servizi sociali dei diversi paesi, Kovive è alla continua ricerca di famiglie e single disposti ad accogliere i bambini disagiati. Per una questione di opportune verifiche da parte dell’associazione, chi volesse aprire la propria casa a uno di loro dovrebbe annunciarsi entro fine maggio. Per avere ulteriori informazioni si può consultare il sito: www.kovive.ch (nel sito si trovano poi i recapiti delle persone responsabili a cui fare riferimento). Per chi volesse contattare direttamente Angela De Camilli di Gordevio può telefonare allo 078 6903636.

Pubblicato il

12.05.2006 03:30
Maria Pirisi