Agenti di sicurezza declassati dalla burocrazia

Un'intrepretazione restrittiva del Dipartimento delle Istituzioni provoca licenziamenti o riduzioni dell'orario di lavoro

«Decine di lavoratori, tra cui numerosi residenti, si son visti la propria esistenza drammaticamente peggiorare perdendo il lavoro a causa della vostra interpretazione della legge sulle attività private d’investigazione e sorveglianza. Un’interpretazione legale, ricordiamo, da noi contestata. Vi chiediamo dunque di sospendere questa prassi immediatamente, almeno nei casi di chi sta già lavorando in Ticino quale agente di sicurezza». Mittenti della missiva, i sindacati Unia e Ocst, mentre il destinatario è Norman Gobbi, capo del Dipartimento delle istituzioni. Riepiloghiamo i fatti per cui decine di persone abbiano perso il lavoro non a causa del Covid, ma per decisioni delle autorità competenti.

 

 

Dal 16 settembre, le autorità cantonali ticinesi non rilasciano più le autorizzazioni per lavorare nel campo della sicurezza a frontalieri o residenti in Ticino da meno di cinque anni. Un cambiamento, aveva spiegato il Dipartimento delle istituzioni guidato da Norman Gobbi, dovuto al fatto che le autorità italiane non rilasciano più informazioni alle autorità cantonali sui procedimenti penali o amministrativi in corso sugli agenti di sicurezza in Ticino. Le condanne o sanzioni già definitive, continuano ad essere inviate, mentre degli eventuali procedimenti in corso le autorità ticinesi non vengono informate.

 

Il rifiuto delle istituzioni italiane, ha una sua logica. Finché non c’è una condanna, vale la presunzione d’innocenza. Non si può mettere in croce una persona prima che un tribunale abbia deciso se sia colpevole o meno. Una presunzione d’innocenza che dovrebbe valere anche in Svizzera, teoricamente.

 

Ad applicare la rigida interpretazione della legge pare infatti sia il solo Canton Ticino, come già avvenuto in precedenti occasioni in tema di stranieri. Il confinante Grigioni, ad esempio, ha mantenuto invariata la sua posizione, continuando a rilasciare le autorizzazioni ad esercitare agli agenti di sicurezza anche in assenza dell’informazione su eventuali procedimenti aperti.

 

La scelta delle autorità ticinesi invece ha avuto quale risultato di far perdere il lavoro a decine di persone, tra cui numerosi residenti, costretti ora a dover ricorrere allo stato sociale per poter sopravvivere.

Per questo motivo, i sindacati hanno scritto una lettera congiunta all’autorità cantonale, chiedendo loro di prolungare le autorizzazioni almeno ai lavoratori che già le possedevano. Queste persone potrebbero così tornare a lavorare, come hanno sempre fatto.

 

I sindacati, in attesa che le discussioni politiche tra Italia e le autorità cantonali ticinesi approdino a una soluzione che non pesi sulle spalle dei lavoratori, auspicano che il buonsenso prevalga ridando la possibilità alle persone di tornare a vivere dignitosamente del proprio lavoro. Son già tempi difficili per l'occupazione, senza bisogno di aggiungerne altri.

Pubblicato il

21.12.2020 09:42
Francesco Bonsaver