Svizzera-italia

La disdetta dell’accordo amichevole sul telelavoro per i frontalieri da parte dell’Italia, arrivata non molte settimane prima rispetto alla sua scadenza del 31 gennaio 2023, preoccupa il mondo del lavoro e le imprese.

 

La decisione del governo Meloni appare di difficile lettura. La Lega è molto radicata nell’estremo nord Italia e la fine dell’accordo creerebbe sicuramente molti problemi alle provincie di provenienza dei frontalieri, nonché al Ticino e ai Grigioni. La Regio Insubrica, ente promotore della cooperazione transfrontaliera che unisce il Ticino e i territori di confine italiani, ha chiesto a Roma e Berna di prorogare l’accordo. Una domanda che si aggiunge a quella inviata alla Segreteria di Stato elvetica dai sindacati Unia e Ocst, dall’Associazione Industrie Ticinesi e dalla Camera di Commercio ticinese. La richiesta è quella di arrivare a un accordo amichevole permanente che registri finalmente i cambiamenti irreversibili avvenuti nell’ambito delle aziende negli scorsi mesi. Come molti sanno, l’accordo sul telelavoro, siglato durante le prime fasi della pandemia, ha finora permesso ai lavoratori frontalieri di lavorare completamente da remoto.


Dal 1° febbraio, se non ci saranno novità, si tornerà dunque al regime ordinario che comporterebbe la fine della possibilità di lavorare da remoto alle condizioni fiscali previste per i frontalieri. Questo vuol dire che, in caso di lavoro a distanza, il lavoratore residente in Italia e attivo in Svizzera verrebbe tassato in Italia e perderebbe lo statuto di lavoratore frontaliere nei giorni in cui lavora da casa. Il telelavoro può trasformarsi facilmente in una trappola, ma quando è regolamentato e accompagnato da diritti forti è certamente una conquista. Molte vite, in particolare dei genitori che lavorano, si sono organizzate attorno alla possibilità di lavorare da casa. Escludere totalmente il telelavoro dall’orizzonte professionale dei frontalieri è una pesante discriminazione. Ne abbiamo parlato con Giuseppe Augurusa, responsabile Cgil frontalieri, reduce da un giro tutto italiano nelle Camere del lavoro di confine (vedere box sotto):

 

Giuseppe Augurusa, come interpreta le resistenze del governo italiano rispetto a un accordo voluto da più parti?

 I motivi della disdetta non sono chiarissimi. A mio modo di vedere c’è dietro una ragione più ideologica che logica. Il governo ha deciso per legge che la pandemia è finita, ha deciso di tornare alla cosiddetta “normalità”, ha sposato insomma una linea economicista radicale propugnata anche in fasi molto più difficili della pandemia. È un discorso di coerenza: dal momento che l’accordo sul telelavoro è nato in fase emergenziale occorre allora sospenderlo. C’è poi forse una ragione secondaria: questo accordo comporta una deroga sul piano fiscale, quindi minori entrate. Su questo punto sarebbe interessante conoscere le cifre esatte.

 

Alcune delle forze che appoggiano il governo sono però già in pressing sul Ministro leghista Giorgetti. Come andrà a finire?

 Ogniqualvolta sorga un problema con la Svizzera, molti politici leghisti si attivano secondo una logica corporativa e territoriale. Anche in questo caso, sono in molti a fare pressione sul Ministro. Il problema è che i tempi sono stretti ed è necessario discutere su un tema che necessiterebbe di una regolamentazione meno contingente e più stabile.

 

Cosa accadrà se non ci dovesse essere un accordo tra Italia e Svizzera?  

Ci troveremmo in una situazione a dir poco problematica, con persone, magari in modalità telelavoro completa da mesi, obbligate a dover cambiare tutti i piani in pochissimo tempo e aziende costrette a riorganizzare gli spazi di lavoro. C’è da dire che ci troviamo in questa situazione anche perché la Svizzera ha regole restrittive in materia di lavoro frontaliere. Sul tema ci sono come sappiamo molte resistenze di tipo politico in Svizzera, in particolare in Ticino. In altre zone di confine tra Italia e altri paesi non si è dovuti arrivare a un accordo amichevole durante la pandemia e non ci sono problemi rispetto al telelavoro dei frontalieri.

 

Il telelavoro è sicuramente una conquista, ma è vero che potrebbe rivelarsi un boomerang per i lavoratori se liberalizzato completamente …

 Il telelavoro non deve essere liberalizzato, ma regolamentato. Il dumping salariale e il peggioramento delle condizioni di lavoro sono rischi concreti senza un insieme di regole ben definite. L’Unione europea, per evitare fenomeni di dumping, ha fissato in passato il 25% come soglia massima per il telelavoro transfrontaliero, più o meno un giorno a settimana. Questa soglia potrebbe magari essere alzata fino a un 40% settimanale. Una completa liberalizzazione è pericolosa. Occorre insomma trovare un punto di equilibrio tra il diritto al telelavoro e la difesa del lavoro stesso.

 

Un altro tema aperto nell’ambito del lavoro frontaliero è quello dell’accordo fiscale tra Italia e Svizzera. A che punto siamo?

C’è stato uno slittamento rispetto all’entrata in vigore a causa anche della pandemia e dell’avvicendamento dei governi, ma sono quasi certo che nella primavera del 2024 l’accordo diventerà realtà. Esprimo la mia soddisfazione per il fatto che le due parti, nell’ambito dell’accordo, hanno accettato anche il memorandum d’intesa tra diverse parti sociali che prevede, tra le altre, una serie di misure interessanti per il lavoratore frontaliere: incremento della franchigia a 10.000 € rispetto alle 7.500 odierne, scomputo dei contributi previdenziali per i prepensionamenti di settore, detrazione degli assegni familiari percepiti all’estero dall’imponibile fiscale, superamento della soglia massima della Naspi per tre o cinque mesi in relazione all’anzianità (questo ultimo provvedimento concordato nel memorandum, non è tuttavia ricompreso nel disegno di legge, è però accompagnato da un ordine del giorno che impegna il Parlamento), apertura del tavolo interministeriale per la definizione dello statuto dei lavoratori frontalieri.

 

La scheda

Un paese frontaliere

Regione che vai, frontalieri che trovi. In Italia sono migliaia i lavoratori e le lavoratrici che si recano giornalmente o settimanalmente in un altro paese per lavorare. Giuseppe Augurusa (Cgil) ha organizzato un giro delle camere del lavoro italiane di confine in occasione dei congressi territoriali organizzati nell’ambito del 19° congresso della Cgil. Ci racconta di realtà legate al lavoro frontaliere poco conosciute. Non ci sono numeri certi, ma le stime parlano di 110.000 lavoratori frontalieri in Italia, di cui l’85% in uscita. La mancanza di un osservatorio nazionale sul frontalierato, rivendicazione dei sindacati confederali, aiuterebbe a inquadrare meglio il fenomeno che appare in costante crescita. Il responsabile nazionale frontalieri della Cgil ha programmato una serie di tappe che hanno toccato o toccheranno le città di Verbania, Varese, Como, Sondrio, Bolzano, Trieste, Rimini, Imperia e Ragusa. La presenza del capoluogo siciliano, in particolare, ci sorprende: «In Sicilia esiste un fenomeno piuttosto ampio di frontalierato settimanale con Malta. Sono poco meno di 5000, secondo le stime, le persone che lavorano in questo Stato. Sono cresciute a vista d’occhio in questi ultimi anni». Malta è infatti una delle nazioni europee che cresce più velocemente e questo attira molta manodopera: «Il Pil cresce al ritmo del 6% annuo. La presenza relativamente recente di voli a poco prezzo ha fatto il resto. Fino a poco tempo fa non riuscivamo a intercettare il fenomeno come sindacato, ma da qualche anno siamo presenti in maniera stabile a fianco dei lavoratori». I lavoratori residenti in Italia si recano a lavorare come frontalieri anche nel Principato di Monaco, in Francia, in Austria, in Slovenia, a San Marino, a Malta e, ovviamente, in Svizzera. Ci sono però anche frontalieri in entrata, soprattutto nel nord-est della Penisola: «Sono circa 10.000 le persone che si recano in Italia per lavorare da Slovenia e Croazia. Si tratta in particolare di badanti che passano il confine giornalmente o settimanalmente per accudire persone anziane». Il fenomeno del frontalierato, ovviamente, non esiste soltanto in Italia, ma interessa molte regioni europee di confine. Anche in Svizzera il fenomeno è in costante crescita e interessa tutte le regioni di confine.    

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   

 

 

 

Pubblicato il 

20.01.23
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