Il settore della vendita attualmente non gode del privilegio di un Contratto collettivo di lavoro (Ccl).
da tempo il Sindacato edilizia e industria (Sei) s’è impegnato per strapparne uno decente alla controparte padronale, la Federcommercio. A dire il vero non era l’unico sindacato in trattativa per il Ccl nella vendita e però di tutti i sindacati era probabilmente il più agguerrito. Ma ai padroni tale determinazione dev’esser parsa piuttosto ostinatezza e tanta caparbietà avrebbe fatto arenare le trattative. Secondo la controparte.
Le trattative in seguito si sono affossate a tal punto da diventare sotterranee e, di fatto, il Sei non ne ha più saputo nulla. Finché un giorno, poco tempo fa, il frutto di tanta segretezza viene alla luce. Ecco presentata la bozza per il nuovo Ccl per il settore delle vendite. Lo presentano entusiaste le organizzazioni sindacali che hanno avuto il privilegio di prendere parte alle trattative. Manco a dirlo, il Sei non era tra questi e il Ccl lo ha accolto con sorpresa. Piuttosto spiacevole, la sorpresa.
Adesso spieghiamo perché. Partiamo dall’inizio di quest’anno. Come già detto, un Ccl per le vendite non c’è. A inizio marzo del 2001 i sindacati, tutti i sindacati, redigono e sottoscrivono un documento che faccia da base di discussione con la controparte. È un antico braccio di ferro: da una parte la Federcommercio preme per avere una maggiore flessibilità del lavoro (leggasi deroghe degli orari di apertura, ecc.) e dall’altra i sindacati oppongono questo documento che deve fare da base di discussione (se rifiutato non accettano di entrare in materia delle richieste della controparte). Come volevasi dimostrare la Federcommercio rispedisce il documento al mittente e, in un impeto reazionario, ritorna alle vecchie condizioni stabilite dal Regolamento quadro delle vendite (Rqv) del 1999.
Giunti ad un bivio
Giunti a questa impasse le strade dei sindacati, che fin qui avevano fatto fronte unico, si separano. Il Sei non accetta assolutamente l’atteggiamento chiuso della Federcommercio mentre gli altri sindacati si fanno più accomodanti.
Siamo sul finire dell’estate e, a mezzo stampa, cominciano a filtrare indiscrezioni circa certe misteriose trattative che sarebbero in atto tra sindacati, Sei escluso, e Federcommercio. Il Sei chiede lumi e lo fa verbalmente e per iscritto. Incontra il consueto muro. Il Sei non è dunque invitato a partecipare alle trattative e il famoso documento di marzo diventa tutt’al più carta da archiviare.
Fin qui abbiamo raccontato la storia dei delegati di padroni e dipendenti. Che ne è dei diretti interessati? Il sindacato Sei, nel mese di ottobre, organizza delle assemblee col personale della vendita. Viene deciso all’unanimità di lanciare una petizione a sostegno del progetto di Ccl completo redatto dal Sei e sottoscritto da tutte le organizzazioni sindacali. Un Ccl che stabilisce l’obiettivo di un minimo salariale di 3’000 franchi netti il mese, una settimana lavorativa di 40 ore distribuite su cinque giorni, il divieto del lavoro su chiamata, orari e piani settiminali di lavoro chiari e la formazione di un organo paritetico di controllo con poteri effettivi per garantire l’applicazione del Ccl. Risultato della petizione: 1’600 firme di lavoratori raccolte in una ventina di giorni grazie alla mobilitazione di sindacalisti e pure di lavoratori del ramo.
Quali conquiste?
Pensate ora all’imbarazzo che vive il Sei. Il testo concordato per le condizioni di lavoro non l’ha visto e non sa neppure quale sia l’entità delle concessioni in materia di deroghe e di flessibiltà concordata tra le parti. Quello che sa lo ha appreso dalla stampa. E su certe cose apprese è un po’ scettico. Ad esempio: si propone un minimo salariale di 2’650 franchi lordi il mese per i lavoratori non qualificati. Dove sarebbe la conquista se salari così bassi sono ormai, praticamente ovunque, un brutto ricordo? Anzi, le grosse catene di distribuzione (Migros, Coop, Manor,...) hanno già annunciato l’introduzione di salari minimi di 3’000 franchi lordi, in taluni casi persino netti, per il 2003.
E che dire degli orari di 42 ore settimanali? In certi grandi magazzini sono già in vigore le 41 ore settimanali e nei piccoli commerci spesso il carico orario si aggira sulle 40 ore. Di nuovo, dov’è la conquista?
Non meglio tanti altri punti. I congedi maternità addirittura peggiorano: si passa dalle 16 settimane previste dal Contratto normale delle vendite alle 14 settimane proposte nella bozza di Ccl. Non si parla del lavoro su chiamata e neppure di piani di lavoro o di orari minimi garantiti. Infine poniamo che questo diventi il Ccl per le vendite, è garantito l’obbligo di applicabilità generale? Non si sa.
Ora cosa deve capire il Sei? Un accordo di questo genere porta indubbi vantaggi ai commercianti, soprattutto a quelli della grande distribuzione, in termine della sempre agognata flessibilità. Flessibilità che per il personale si traduce in precarietà. Ecco la conquista della bozza di Ccl. |