Settimana prossima, nel cantone Ticino, verrà chiuso l’anno scolastico 2002-2003. È questa una occasione per riflettere brevemente sui destini della pedagogia. Ebbene nella sua accezione tradizionale, la pedagogia si riferisce essenzialmente a un luogo e a un tempo ristretti. Il luogo sta per scuole, i tempi stanno per l’età evolutiva (vale a dire ragazze e ragazzi che frequentano le scuole). Appare subito evidente come questa accezione sia troppo ristretta, perché la pedagogia continua a funzionare fuori dai templi scolastici. I luoghi detti di socializzazione in verità sono molteplici. Ne abbiamo già parlato qualche volta. La pedagogia si vuole una scienza (umanistica, detta dell’educazione) che vuole trattare dei metodi, degli strumenti, delle strategie e dei contenuti da trasmettere ai suoi discenti, affinché questi abbiano a sviluppare le proprie facoltà per meglio integrarsi… per meglio essere socializzati nella vita. Vediamone un ABC. A) L’esperienza del gruppo. Il senso di proprietà privata è rapidamente insegnato-assimilato. Alla scuola dell’infanzia tutto il materiale di lavoro è ancora rigorosamente in comune. Alla scuola elementare invece ognuno ha il suo banco, il proprio astuccio, la propria gomma, i propri colori, cancellino, riga, compasso, ecc… e magari tutto ciò in fogge diverse, tutte acquistate nei grandi magazzini (penne rosa, gomme a forma di Paperino, matite magiche, ecc…). Rammento qui i litigi per le gomme («è mia non te la dò») prestate, rubate, accaparrate… Questo individualismo continua poi nei giochi. In una classe ho contato 12 play station con relativi giochini. Tutti rigorosamente di proprietà individuale. Per cui ho contato decine di copie dello stesso gioco. B) Su questa linea ricordiamo l’esempio della produzione e della riproduzione degli apprendimenti scolastici. A scuola non si copia: il Copyright regna padrone. C) Vediamo poi l’esempio degli abbecedari veri e propri (manuali per imparare a leggere e scrivere). Chi come genitore non si è accorto che, proprio appena quando il proprio figlioletto impara a leggere, comincia a sillabare tutte le pubblicità che incontra nelle strade. Oppure comincia a guardare (leggere) con nuovo interesse i cataloghi di giochi che i grandi magazzini distribuiscono gratuitamente con la posta? L’alfabetizzazione è dunque garantita. In verità il tasso di invasione pubblicitaria è inversamente proporzionale al tasso di analfabetismo. Vale a dire: più un territorio è invaso dalle pubblicità, più la sua popolazione è alfabetizzata. Appare allora fin troppo chiaro che i mezzi finanziari maggiori non vengono investiti nella scuola. Anzi questi non sono che una risibile frazione di tutto quanto viene speso, per l’educazione, per la socializzazione (si fa per dire) al di fuori di essa.

Pubblicato il 

06.06.03

Edizione cartacea

Rubrica

Nessun articolo correlato