Gli analisti non sanno più cos’altro potrebbe capitare di peggio alla Asea Brown Boveri (Abb). La multinazionale elvetico-svedese è in un mare di guai. Quest’anno il gruppo guidato da Jorg Centerman ha dichiarato per la prima volta nella sua storia una perdita netta di 691 milioni di dollari, maturata nel solo anno 2001. Le richieste di risarcimento che sono state avanzate dalle vittime da amianto hanno subito una drastica impennata, passando dalle 66mila domande della fine del 2000 alle 94mila registrate nel dicembre dello scorso anno, con una crescita del 42 per cento! Di fronte alla progressione delle richieste il totale degli accantonamenti è stato allora aumentato a 940 milioni di dollari, un ammontare che corrisponde alle perdite subite l’anno scorso. Alcuni analisti prevedono che gli indennizzi potrebbero sfondare il tetto dei dieci miliardi, mettendo allora l’azienda in una posizione ad altissimo rischio. Il rallentamento dell’economia e il cattivo tempo che imperversa sui settori dell’energia, dopo il fallimento della Enron, e dell’alta tecnologia, non prospettano nulla di buono per le attività del gruppo, che invece punta al rilancio delle commesse proprio per compensare gli esborsi legati agli indennizzi. Queste magre previsioni hanno esposto la multinazionale alla sanzione dei mercati azionario e obbligazionario che hanno rivisto il loro parere sulla solidità finanziaria dell’azienda. Il titolo ha subito un degrado umiliante perdendo negli ultimi mesi buona parte del suo valore. Ma non è finita qui. Il gruppo deve anche far fronte allo scandalo delle retribuzioni faraoniche concesse agli ex amministratori delegati, Percy Barnevik e Göran Lindahl, che hanno intascato rispettivamente una maxi-liquidazione da capogiro di 148 e 85 milioni di franchi, facendo impallidire d’invidia l’ex patron del gruppo bancario Ubs, Mathis Cabiallavetta, congedato con 15 «miseri» milioni di franchi. Somme che sono state riconsiderate dal consiglio di amministrazione per riconquistare le simpatie degli azionisti che subiranno tuttavia un azzeramento del dividendo, una misura che sarà formalizzata dall’assemblea generale.
Questo degrado della situazione che incorpora tutte le cattive notizie sul gruppo, compreso il taglio di 12mila posti di lavoro messo in atto dal luglio scorso, preoccupa i sindacati che mordono il freno di fronte ai soporiferi e calmanti comunicati del gruppo e alle promesse che gli esuberi saranno risolti grazie alla «fluttuazione naturale» del personale: chi lascerà il posto non sarà rimpiazzato. Oltre questo muro non è possibile andare per i difensori dei lavoratori che attendono anche loro l’assemblea generale di martedì prossimo, in cui saranno annunciate diverse sorprese. Secondo informazioni in nostro possesso il sindacato Flmo prepara un’azione proprio in quell’occasione.
Dal canto suo il consigliere nazionale socialista Pierre-Yves Maillard conferma ad «area» che «il problema non deve essere preso sottogamba». Il deputato-sindacalista non si occupa direttamente del settore di attività di Abb ma guarda con inquietudine alle vicende che scuotono l’azienda. In Svizzera il gruppo impiega circa 7.700 collaboratori, di cui duemila a Baden, una cittadina che vive all’ombra del gigante elvetico-svedese. L’ondata proveniente da un secondo piano di ristrutturazione – che si rivelerà necessario se la situazione non migliora – colpirebbe inevitabilmente la sponda svizzera e sommergerebbe i siti di produzione che costituiscono oggi il vanto della multinazionale. Le conseguenze sarebbero drammatiche.
Ma è l’amianto la spada di Damocle che pende su Abb. I guai della multinazionale sono cominciati con l’acquisto della Combustion Engineering, un’azienda americana che ha prodotto migliaia di boiler industriali isolati con l’amianto. Complessivamente – oltre i casi che concernono la ditta elvetico-svedese – le persone che sono state esposte alle fibre assassine sarebbero cento milioni negli Stati Uniti, secondo stime che vengono ripetutamente rivedute e corrette. Il male non colpisce soltanto i lavoratori ma anche uomini e donne, famiglie e amici, che sono accidentalmente entrati in contatto con la polvere mortale. Ad oggi le richieste di indennizzo sono state circa 600mila. Nei prossimi anni, o decenni (visto che possono trascorre anche 40 anni prima che si manifestino danni alla salute), le aziende che hanno usato l’amianto saranno travolte da una valanga di risarcimenti. Quelli che riguarderanno Abb potrebbero raggiungere piani alti, troppo alti per la multinazionale che sarebbe costretta a svuotare le casse, se le sentenze di rimborso saranno emesse per rimborsare anche le persone a rischio e non esclusivamente le persone malate. Un pericoloso precedente (pericoloso per le aziende) è stato consumato nel Mississipi dove un tribunale ha accordato un rimborso milionario a operai che non avevano ancora sviluppato malattie gravi, indennizzandoli per il «rischio» che corrono di maturare un cancro.
Il problema non rimane comunque circoscritto agli Stati Uniti. In Svizzera è tornato rovinosamente alla ribalta con lo scandalo del cementificio glaronese Eternit. Quarantacinque ex collaboratori della ditta di Niederunen sono morti per un mesotelioma, il cancro che si sviluppa respirando le micropolveri di amianto che vengono liberate nell’atmosfera. Alcuni lavoratori giungevano dall’Italia. Richieste di assistenza giudiziaria sono già pervenute dalla procura di Torino. Altre vittime si annunceranno nei prossimi mesi o anni. Lo stesso potrebbe accadere alla multinazionale Abb che ha dislocato centri di produzione in tutto il mondo e dovrà attendersi con ogni probabilità un afflusso di richieste da diversi paesi.
Tanto per concludere questa lunga e pesante lista di problemi, la multinazionale Abb presenta inoltre un’esposizione debitoria di circa 19 miliardi di dollari (oltre 32 miliardi di franchi), a fronte di un giro di affari complessivo di 23,7 miliardi, che figura peraltro in arretramento del 7 %. Gli utili ante imposte sono dal canto loro in clamorosa picchiata, totalizzando un risultato in ripiego dell’80 per cento. Un dato molto preoccupante. Sono comunque i mezzi propri a generare allarmismi tra gli analisti. I fondi cui il gruppo potrà far leva non vanno oltre i 5,7 miliardi, un ammontare che potrebbe gonfiare fino a 19 miliardi (somma comunque pari ai debiti complessivi) a seguito del recupero dei crediti legati a commesse straordinarie e alle riserve patrimoniali. Sulla carta la proporzione dei mezzi finanziari propri, ante introiti preventivati, svela ad ogni modo un tasso di appena il 6,2 per cento. Un anno prima del vergognoso grounding che ha costretto gli aerei a terra, la defunta Swissair viaggiava attorno al 6,7 per cento!
Il confronto con l’ex compagnia di bandiera elvetica si estende anche sul piano della liquidità. Il vettore rossocrociato era riuscito a dotarsi di un ottimo margine lordo di autofinanziamento, il cosiddetto cash-flow, a fronte di un’esposizione a rischio. Come Swissair il bilancio dell’Abb denota una crescita eccezionale di liquidità, che sono state riversate in parte per ridurre l’indebitamento netto di circa due miliardi soltanto nell’arco del terzo trimestre. Come dire che il gruppo ha avuto un’insolita fretta nell’usare le tenaglie finanziarie per ridimensionare l’esposizione, che era aumentata anche a causa delle acquisizioni operate recentemente (Eutech e Entrelec). Il paragone con Swissair è usato dagli analisti come strumento per far capire che l’azienda versa in cattivissime acque. Se la natura della preoccupante esposizione d’Abb è conosciuta, il suo trattamento contabile nei bilanci rimane un mistero che soltanto le società di revisione potranno svelare. Magari in occasione dell’assemblea generale che si terra a Zurigo, sede del gruppo, il 12 marzo.
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