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AVS 2030, una riforma che ignora i veri problemi dei pensionati

“Stabilizzare”, “modernizzare”, “adeguare”: sono termini da cui diffidare quando vengono associati a progetti o decisioni di politica sociale, perché spesso vengono utilizzati per abbellire ciò che bello non è affatto. È la sensazione che abbiamo provato leggendo i “primi indirizzi generali” della riforma AVS 2030 presentati la scorsa settimana dal Consiglio federale, il quale, pur rinunciando per il momento a proporre un aumento dell’età pensionabile (e ci mancherebbe altro dopo il chiarissimo no popolare dell’anno scorso a un’iniziativa in questo senso), mira per altre vie a prolungare la vita professionale delle persone. E persiste nell’ignorare i problemi veri che affliggono i salariati e i pensionati di questo paese.

 

La ricetta proposta per “adeguare” l’AVS “agli sviluppi sociali ed economici” è la promozione del proseguimento dell’attività lucrativa oltre l’età di riferimento, cioè la creazione di incentivi per spingerci a lavorare fino a 70 anni (e oltre, visto che si preconizza l’abolizione dell’attuale età massima AVS): si ipotizzano per esempio un aumento della franchigia (oggi pari a 16.800 franchi) sulla quale gli ultra 65enni che lavorano non devono versare contributi sociali e misure per rendere “meno attrattivo” il pensionamento anticipato. Un innalzamento dell’età di riferimento sarà invece materia di discussione nel quadro della riforma successiva: il governo “rifletterà ulteriormente a quali condizioni possa essere preso in considerazione”.

 

Nelle intenzioni del governo, AVS 2030 dovrà invece essere una riforma per garantire i finanziamenti supplementari necessari all’assicurazione per affrontare il periodo critico (tra il 2030 e il 2040) durante il quale la pressione della generazione dei baby boomer (i nati tra il 1946 e il 1964) sulle finanze dell’AVS raggiungerà il suo culmine, complice una modesta crescita della popolazione attiva che paga i contributi salariali. La riforma è insomma un puro esercizio di quadratura dei conti. Peraltro sulla base di calcoli tutti da verificare, tenuto conto del brutto vizio elvetico di fare previsioni catastrofiste che di regola vengono poi smentite in sede di consuntivo: con l’AVS è quasi una prassi, come per la spesa pubblica.

 

In questi “primi indirizzi generali” del progetto non c’è traccia del problema principale: il livello insufficiente delle pensioni. Il Consiglio federale rinuncia a introdurre aumenti delle rendite per i bassi redditi, su cui, solo l’anno scorso, persino i partiti borghesi e il padronato si erano detti favorevoli. Anche se eravamo alla vigilia della votazione sulla 13esima AVS (su cui nel paese soffiava un vento favorevole) e questa “apertura” fu chiaramente solo un ultimo disperato tentativo di spostare delle opinioni.

 

Oggi il governo, nel suo esercizio di aggiustamento dei conti, valuta addirittura di sospendere la compensazione del rincaro nell’AVS e dunque di intaccare ulteriormente il potere d’acquisto delle tante persone che, nonostante il progresso sociale della 13esima AVS, continueranno a dover vivere la pensione con una misera rendita di meno di 2.000 franchi al mese.

 

Dovrebbero essere queste le priorità di una riforma del pilastro portante della previdenza per la vecchiaia in Svizzera quale è l’AVS. Magari anche valutando fonti di finanziamento alternative e maggiormente solidali rispetto a quelle che conosciamo (contributi salariali e IVA), come per esempio un’imposizione (minima e indolore per tutti) delle transazioni finanziarie o una tassa di successione per i grandi patrimoni. Ipotesi che il governo, senza creatività e senza coraggio, nemmeno prende in considerazione. I dettagli del progetto saranno noti solo in autunno con l’avvio della procedura di consultazione, ma già fin d’ora appare chiaro che AVS 2030 è una riforma zoppa e dannosa. 

FOTO: AdobeStock

Pubblicato il

22.05.2025 14:31
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