A rischio d'apartheid

E ora siamo all’apartheid. Non per modo di dire, ma sul serio. Il Municipio di Meilen, nel cantone di Zurigo, ha infatti stabilito che in determinate zone del comune è proibito l’accesso ai richiedenti l’asilo. E non a chi ha commesso qualche crimine, ma a tutti gli asilanti indistintamente. È una decisione che riprende in modo estensivo ed arbitrario un provvedimento adottato dalle città di Zurigo e di Winterthur contro gli spacciatori (vedi riquadro), basato sull’articolo 13e della Legge federale sulla dimora e il domicilio degli stranieri. Quella del Municipio di Meilen è però una decisione illegittima, perché separa un intero gruppo di popolazione da un altro. E questo si chiama apartheid. La notizia è stata data la settimana scorsa dal quotidiano “Zürichsee-Zeitung” e ripresa dal settimanale “Woz”. «Per coordinare e ordinare il diritto d’ospitalità verso i richiedenti l’asilo, e per prevenire paure e timori nella popolazione» – ha detto il capo dicastero di polizia, Christoph Hiller, liberale – «sono state adottate misure che il sindaco Hans Isler», ovviamente dell’Udc, ha definito «costruttive e preventive». In pratica, su una mappa del villaggio sono state segnate in rosso le zone intorno alle scuole ed ai centri sportivi, assolutamente off limits per i richiedenti l’asilo. In verde, invece, il centro del paese, dove i richiedenti l’asilo possono accedere, ma senza costituire «assembramenti che disturbano». Agli asilanti è inoltre particolarmente proibito l’accesso alla piscina comunale, dove possono recarsi soltanto se accompagnati, ma mai comunque quando ci sono classi di scolari che hanno lezioni di nuoto. La polizia comunale, ovviamente, è chiamata a raddoppiare la sorveglianza. Questa specie di «regolamento della casa» – come l’ha chiamato Hiller – dovrebbe servire «a proteggere la popolazione, ma anche i richiedenti l’asilo da accuse ingiustificate. In tal modo possiamo convivere bene gli uni accanto agli altri». E per evitare gli «interventi autonomi» da parte di chi notasse violazioni alla regola delle zone proibite, accanto al numero di chiamata della polizia, il 117, ne è stato creato un altro, attivo 24 ore su 24 e affidato alla ditta che cura localmente l’assistenza (e ora anche la sorveglianza) dei richiedenti l’asilo. La pretesa che questa forma di apartheid serva a proteggere anche i richiedenti l’asilo, appare francamente ridicola e non viene presa sul serio da nessuno. «Questa motivazione è derivata dall’apartheid sudafricana», ha detto l’avvocato zurighese Peter Nideröst, copresidente di Solidarité sans frontières. La separazione di un determinato gruppo di persone dal resto della popolazione viola il diritto fondamentale alla libertà di movimento: la legge non consente di istituire zone di esclusione collettiva verso gruppi di persone che si comportano correttamente, ma soltanto contro singoli individui che compiono reati in quelle zone. Lo stesso municipale Hiller ha dovuto riconoscere che «da un punto di vista puramente giuridico-formale queste misure non sono corrette». Altre perplessità sorgono in merito alla proporzionalità del provvedimento, rispetto alla tutela dell’interesse pubblico invocata da Hiller. Questa tesi è stata quanto meno messa in dubbio da un professore di diritto pubblico, Walter Haller, che abita a Meilen. Interpellato dal “Zürichsee-Zeitung”, Haller ha detto che «è tutto da dimostrare che l’interferenza nella libertà personale dei richiedenti l’asilo sia proporzionale alla tutela della popolazione». «E poi: che cosa s’intende quando si parla di “assembramenti” nel centro dell’abitato? Una famiglia numerosa costituisce già un assembramento?» A queste perplessità ha risposto il sindaco Isler con una disarmante giustificazione: «So già che ci muoviamo in una zona grigia del diritto». E di fronte a tanta arroganza, sembra cadere nel vuoto la replica, raccolta dalla “Woz”, di Simone Bischoff, giurista presso la Divisione affari giuridici e internazionali dell’Ufficio federale dei rifugiati: «La paura dello straniero può essere stabilmente sconfitta mediante incontri positivi, e non con l’esclusione». Al limite della legge Per lottare contro la piccola criminalità degli stranieri privi di permesso di dimora o di domicilio (in genere, piccoli spacciatori di droga), da metà ottobre nel cantone di Zurigo è stato adottato un nuovo strumento: quello di proibirne l’accesso a determinate zone del territorio. In due mesi, questi provvedimenti di limitazione della libertà personale di movimento sono stati 56. In 29 casi si è trattato di stranieri esclusi dall’intera città di Winterthur; altri 11 provvedimenti riguardano l’esclusione dall’intera città di Zurigo e 5 da alcune sue zone (i quartieri 4 e 5, attraversati dalla Langstrasse). Infine, ad 11 stranieri è stato interdetto il domicilio in tutto il cantone di Zurigo. L’operazione, denominata “Azione fortissimo”, concerne 48 stranieri di origine africana, 4 provenienti dalla Jugoslavia, 2 iracheni, un libanese ed un georgiano. La base giuridica del provvedimento è l’articolo 13e della legge federale sulla dimora e il domicilio degli stranieri, secondo il quale ad uno straniero senza permesso di dimora o di domicilio, che disturba o mette in pericolo l’ordine e la sicurezza pubblica, può essere ordinato di non lasciare una determinata zona o di non accedervi. Tale misura può essere applicata, nella lotta allo spaccio di droga, contro i richiedenti l’asilo e contro le persone ammesse provvisoriamente. Ci si può chiedere, a questo punto, come mai tali provvedimenti di limitazione della libertà di movimento siano stati adottati più a Winterthur che a Zurigo, visto che sulle rive della Limmat lo spaccio di droga è senz’altro più fiorente che nella seconda città del cantone, dove oltretutto non è neppure particolarmente cresciuta la presenza di richiedenti l’asilo. La spiegazione potrebbe essere (come almeno un caso concreto ha dimostrato) che gli spacciatori scacciati dalla Langstrasse di Zurigo si siano trasferiti a Winterthur, dove hanno continuato la loro attività nel centro città e nei pressi della stazione. sdp

Pubblicato il

20.12.2002 02:30
Silvano De Pietro