A proposito di crisi

Bisognerebbe smettere di usare la parola crisi. Quello che avviene ogni giorno sotto i nostri occhi non è un accumularsi disordinato di fatti imprevedibili o un mutamento traumatico dell'economia mondiale, ma un pianificato, metodico e ordinato spostamento di ricchezza dai salari alle rendite. I salari diminuiscono sia come cifra in busta paga sia come massa complessiva, perché sono sempre meno gli occupati, mentre le rendite da capitale aumentano.
Un esempio in Svizzera? Il modo in cui viene gestita la previdenza professionale, quella parte del salario che viene trattenuta ogni mese per essere versata dopo i 65 anni sotto forma di pensione. Da quando è stata introdotta, nel 1985, fino ad oggi, i capitali accumulati sono ingenti e vengono gestiti dalle banche in maniera del tutto opaca. Girano vorticosamente sui mercati finanziari alla ricerca di investimenti sempre più redditizi per le banche, non certo per i lavoratori. Infatti le pensioni diminuiscono e il loro futuro è sempre più incerto. Ma alle banche non basta. Vorrebbero un sistema in cui ciascuno risparmi per conto suo, senza altre regole che i consigli interessati dei consulenti finanziari: una giungla in cui i furbi si prenderebbero gioco degli sprovveduti. La tecnica per portare a termine la completa privatizzazione delle pensioni l'avrebbe dovuta spiegare a Lugano José Piñera, il ministro della giunta Pinochet che l'aveva realizzata in Cile a partire dal 1981. Per contrattempi organizzativi la conferenza, in programma il 29 maggio scorso, non è potuta svolgersi. Ma come mai si è sentito il bisogno di prendere lezioni da un ministro-macellaio?
Per salvare le banche dal tracollo finanziario, i governi europei hanno stanziato complessivamente in questi mesi 3.760 miliardi di euro di fondi pubblici, cioè dei contribuenti. In testa nei salvataggi c'è la Gran Bretagna con 781 miliardi di euro, seguita dalla Danimarca con 600 miliardi e via via gli altri paesi con cifre simili. In Svizzera il Consiglio federale ha messo a disposizione senza battere ciglio 60 miliardi di franchi per risanare i conti dell'UBS.
Lo scorso 3 giugno il Gran Consiglio ticinese ha approvato un pacchetto di misure per "fronteggiare la crisi": un credito di 78 milioni di franchi per progetti di rilancio economico, sussidi cantonali all'alloggio, assegni familiari complementari, credito agevolato di 30 milioni da parte della Banca dello Stato, contributi statali per il risanamento di edifici eccetera; in tutto 13 decreti legislativi per 116 milioni complessivi, di cui circa 65 direttamente a carico del cantone. Inoltre, chissà perché, una riduzione dell'aliquota dell'imposta sugli utili delle persone giuridiche (comprese quindi le banche) dal 9 all'8,5 per cento. Ciò comporterà una riduzione delle entrate per l'ente pubblico di 25 milioni di franchi all'anno (15 per il cantone e 10 per i comuni). Ritenendola provocatoria, i socialisti si sono opposti a tale misura, che è stata approvata con i voti del PLR e del PPD. Il presidente di quest'ultimo partito, Giovanni Jelmini, ha dichiarato che quella dei socialisti è «un'analisi semplicistica legata alla vecchia ideologia: il libero mercato è il male, lo Stato è il bene». Un'opinione legittima la sua, avvocato Jelmini, ma contraddittoria o per lo meno inopportuna in questo momento in cui lo Stato, con i soldi di tutti, è chiamato a rimediare ai disastri combinati dal libero mercato.

Pubblicato il

19.06.2009 13:30
Giuseppe Dunghi