A ognuno il suo Forum

Al primo Forum sociale mondiale (Fsm) di Porto Alegre, nel 2001, si iscrissero 6 mila persone, che poi diventarono alla fine 18 o 20 mila. I media ignorarono o quasi l’avvenimento, nato su impulso di una rete di organizzazioni sociali brasiliane (dalla Cut, il sindacato più grande, al movimento dei Sem Terra, la federazione delle Ong, la Pastorale per la terra dell’episcopato brasiliano e molti altri) e di Attac Francia. Appoggio decisivo, quello del municipio di Porto Alegre, dove da diversi anni si sperimentava una forma di democrazia diretta, il “bilancio partecipativo”, a fianco di quella tradizionale, sindaco, consiglio comunale, partiti, e così via. Fu fissato alla fine di gennaio, perché l’idea era di contrapporre al Forum economico di Davos, un Forum sociale, che cioè sostenesse le ragioni della società contro l’economia liberista. Partecipanti in aumento Al secondo Fsm, gli iscritti furono circa 20 mila e si calcolò, alla fine, che avessero partecipato circa 60 mila persone. Il Forum economico aveva nel frattempo migrato verso gli Usa, a New York, e il Forum sociale aveva completamente occupato la scena. Si accreditarono, a questa edizione del Fsm, circa cinquemila giornalisti. Evidentemente, i media avevano scoperto che reti sociali, sindacati, organizzazioni contadine, centinaia di intellettuali di primo piano, stavano elaborando quel che uno dei fondatori del Forum, Riccardo Petrella, chiama «una nuova narrazione del mondo». Dunque, dopo una prima fase, quella dell’emersione (dovuta anche ai fatti di Seattle, avvenuti un paio di mesi prima del Forum numero uno), si stava passando a quella della “costruzione”. Dopo varie incertezze, il Consiglio internazionale, che organizza, sulla base di una Carta dei principi (l’antiliberismo e la nonviolenza, l’opposizione a tutte le guerre…), il Fsm, decise che vi sarebbe stata una terza edizione ancora a Porto Alegre, invece che in India, come si era progettato. E questa terza edizione, che comincia il prossimo 23 gennaio, conta già 40 o 50 mila iscritti: si prevede che queste cifre raddoppieranno. Non solo: ma la partecipazione, nei primi due Forum, quasi solo europea e latinoamericana è ormai diventata globale: sono oltre mille gli iscritti statunitensi, duecento solo i giapponesi, migliaia gli asiatici, e molti saranno, finalmente, gli africani. Con la terza edizione, il Forum sociale mondiale diventa un gigante. Ma per fare cosa? Ci sono tutte le premesse perché questo Fsm sia un tornante decisivo, in un senso o nell’altro. Molte domande sospese si affollano sulla Pontificia università cattolica (Puc) della città brasiliana, da quest’anno sede non più esclusiva di seminari, conferenze e dibattiti, che invaderanno molti altri luoghi di Porto Alegre. Prima di tutto, all’orizzonte c’è una nuova “tempesta nel deserto”. È più che possibile che, immediatamente dopo la conclusione del Forum, cominci la guerra in Iraq. Ormai, dopo alcune resistenze negli anni scorsi, quando la guerra di cui si parlava era quella in Kossovo, su cui ad esempio i francesi di Attac avevano opinioni oscillanti, tutti coloro che si ritroveranno a Porto Alegre nutrono un’avversione radicale per le avventure militari di George Bush. Ma il problema, di cui si discuterà in molte conferenze e tavole rotonde, è che “l’altro mondo in costruzione” (era il titolo del Fsm numero due) rischia di essere distrutto prima ancora che le fondamenta si consolidino. È probabile che la giornata europea contro la guerra fissata per il 15 febbraio, con manifestazioni in tutte le capitali, divenga a Porto Alegre mondiale. I politici faranno capolino Ma, altro problema non da poco, a Porto Alegre si moltiplicheranno le presenze di politici e di sindacalisti. Per un politico, di sinistra e non solo, dire «sono stato a Porto Alegre» è ormai un fiore da esibire all’occhiello. Per di più, il terzo Fsm si svolge all’indomani della vittoria di Lula nelle elezioni presidenziali brasiliane: e il neopresidente farà una sua apparizione, a Porto Alegre, il 25 gennaio (una grande raduno alla Porta do Sol, ampio spazio all’aperto dove si tengono le manifestazioni di massa del Fsm). Ma il giorno dopo, il 26, Lula sarà a Davos, e questo ha già provocato polemiche accese. Un intellettuale influente della sinistra brasiliana, Emir Sader, ha scritto per esempio un articolo intitolato esplicitamente: «Lula, non andare a Davos». Quel che molti temono, in generale, è che politici di sinistra e sindacalisti che non hanno chiarito la loro opinione, ad esempio, sulle privatizzazioni, o sulla guerra, si propongano come leader dei movimenti sociali. Si può anche dire, all’inverso, che sono le reti sociali ad aver costretto politici e sindacalisti a riflettere su una politica ormai travolta dalla globalizzazione. Sta di fatto che contestazioni si preparano, da parte di italiani, sudafricani e argentini, tra gli altri, al Forum dei parlamentari che precederà il Forum sociale vero e proprio. Un altro dei temi portanti del Fsm sarà, per la prima volta, la comunicazione e i media, che in tempo di guerra non nutrono una gran salute. E anche qui c’è un rebus da risolvere: è più importante coltivare la critica dei grandi media liberisti, oppure far crescere la già molto diffusa rete dei media indipendenti? Ignacio Ramonet, il direttore di Le Monde diplomatique, insieme a molti altri, ha fondato una associazione, Media Watch Global, che si propone la prima cosa. Ma a Porto Alegre si sperimenterà per la seconda volta la Ciranda (“girotondo”, in portoghese), una forma di cooperazione attiva tra media indipendenti di tutto il mondo: un po’ come è accaduto a Genova, al G8, e a Firenze, al Forum sociale europeo. La discussione è molto accesa, e a uno dei dibattiti, insieme a Bernard Cassen, di Le Monde diplomatique, parteciperà una redattrice di Carta, Anna Pizzo. La moltiplicazione dei forum Ancora, ci sono i molti problemi provocati dalla straordinaria moltiplicazione dei forum sociali. Ce ne sono migliaia, in tutto il mondo: nati per occasioni speciali e contro vertici ufficiali (nel solo 2002 a Johannesburg, a Siviglia e a Barcellona, per esempio); cittadini e territoriali (i circa duecento che esistono in Italia suscitano la meraviglia degli stranieri); continentali e regionali (molto successo ha avuto quello asiatico, tenuto in India qualche settimana fa, e poi africano, delle Americhe, ovviamente europeo, con l’esplosione fiorentina, e, dal 2003, un forum mediterraneo, ecc.); tematici (l’acqua, il cui forum si riunirà a Firenze in marzo, l’educazione, la democrazia municipale…). Come si “governa” una tale alluvione di partecipazione? Il Consiglio internazionale, basato (come ormai lamentano molti europei e i neoarrivati statunitensi) è formato essenzialmente da brasiliani (che costituiscono il segretariato organizzativo) e da francesi. Ma se nel 2004 il Forum sociale mondiale si farà, come è del tutto probabile, in India, è possibile immaginare che questa composizione continui così? E d’altra parte, i 60 mila iscritti al Forum europeo di Firenze, dicono che una organizzazione “regionale” dei processi dei forum sociali è nelle cose. Come ha scritto Michael Albert, uno tra i principali collaboratori di Noam Chomsky, «si può immaginare un movimento per la democrazia che non sa darsi regole democratiche?». Insomma, il terzo Forum sociale mondiale è tutto, tranne che una replica. Al contrario, è il momento in cui la “terza fase” del movimento globale, come l’ha definita Petrella, assumerà una fisionomia e, come sempre, nessuno può dire quali ne saranno i contorni esatti. Libertà personali sospese a Davos di Gianfranco Helbling «Non ripeteremo mai più questi errori». Il coro era unanime, al termine dell'ultimo Forum economico mondiale (Wef) tenuto a Davos, quello del 2001. In particolare organizzatori e forze dell'ordine avevano riconosciuto lo sbaglio nell'aver criminalizzato a priori tutto il movimento antiglobalizzazione che a Davos voleva far sentire il suo dissenso nei confronti dei “padroni del vapore” riuniti per il Wef. Si era parlato anche di soluzioni da elaborare in comune fra forze di sicurezza e manifestanti. Ora però tutte queste parole sembrano appartenere al passato: a Davos si erigono invalicabili barricate militarizzate, agli abitanti e ai turisti della cittadina grigionese si rende arduo ogni movimento, sull'autostrada si montano videocamere di sorveglianza e dalla Germania arriveranno 50 agenti specializzati con sei mezzi lancia-acqua. Perché si ritorna agli errori del passato? Lo abbiamo chiesto ad Andrea Hämmerle, consigliere nazionale socialista grigionese. Perché la ricerca di soluzioni costruttive su una base comune è fallita? Ci sono stati diversi tentativi, dal 2001 a oggi, per trovare soluzioni costruttive e di portare un po' di distensione. Ora invece, man mano che il Wef si avvicina, tutte le parti ricadono di nuovo nei vecchi schemi mentali. Basta guardare cosa sta accadendo a Davos, con l'organizzazione di zone proibite al pubblico, con l'obbligo per i cittadini di munirsi di una tessera per tornare a casa, con la possibilità di dispensare gli scolari dalle lezioni (che sono pur sempre obbligatorie), con fili spinati e fucili nelle strade, e tutto ciò a causa di una manifestazione privata. Queste limitazioni alle libertà fondamentali trovano la loro base legale in un'Ordinanza approvata dal Gran Consiglio grigionese a tempo di record. Essa dà carta bianca alla polizia e suscita grossi dubbi nell'ottica dello Stato di diritto. Come vedono gli abitanti di Davos oggi il Wef? In sostanza ci sono due gruppi. Da un lato chi è favorevole al Wef perché ne trae un profitto diretto, e sono gli alberghi a quattro e cinque stelle oltre a qualche negozio di lusso. D'altro canto ci sono tutti coloro che il Wef lo subiscono: la popolazione, i turisti che non partecipano al Wef, tutti gli altri alberghi e ristoranti e gli impianti di risalita. Le forti limitazioni che con il Wef vengono imposte provocano infatti pesanti perdite a chi non approfitta direttamente del Forum. E sono la maggioranza dei davosiani. I Grigioni possono rinunciare al Wef? Certamente. Oggi all'immagine di Davos e dei Grigioni come pacifica regione turistica di montagna il Forum fa più male che bene. Non vedo che ritorno d'immagine si possa avere se le televisioni fanno vedere nel mondo fili spinati e mitragliette. Quali limitazioni dei diritti fondamentali è disposto a tollerare il Ps grigionese per mantenere il Forum a Davos? Una limitazione delle libertà fondamentali che dura diversi giorni non è accettabile: se una manifestazione privata non è compatibile in così ampia misura con i diritti garantiti dalla Costituzione federale non deve semplicemente aver luogo. Una settimana dopo il Forum iniziano i campionati del mondo di sci di St. Moritz: è una manifestazione privata, che si svolge nei Grigioni, che attira ancora più persone, ma che non causa alla popolazione i disagi che provoca il Wef, in particolare non ne limita i diritti fondamentali. Ma anche Davos conosce altri grossi avvenimenti, come la Coppa Spengler di hockey: e anche se gli spettatori a volte sfondano qualche vetrina, a nessuno viene in mente di limitare per questo la libertà di tutti gli abitanti. Il Ps grigionese accetta i controlli a Fideris per chi vuole salire a Davos in occasione della manifestazione di sabato. Perché? Per il parallelo con le manifestazioni sportive: alle entrate degli stadi oggi si viene sistematicamente controllati per evitare che entrino oggetti pericolosi. Ma certamente non accettiamo che in occasione delle perquisizioni a Fideris si facciano controlli d'identità, e ancor meno che si fotocopino i documenti. Non lo si fa agli stadi, non vedo perché farlo per chi intende esercitare un suo diritto democratico. E come valuta le videocamere di sorveglianza che vengono montate in questi giorni sull'autostrada A13? Sono completamente fuori posto. Sostenere che tutte le informazioni raccolte verranno eliminate è semplicemente un'arrampicata sui vetri. E non si sa nemmeno a cosa possano servire queste informazioni. Anche perché vi saranno controlli sia alle frontiere che sulle strade di accesso a Davos, oltre che a Fideris. Come spiegare allora tutte queste misure di sicurezza? Ci si sta inventando un pericolo che non esiste? Credo che dal punto di vista soggettivo gli organizzatori del Forum siano in uno stato di panico, hanno il terrore che succeda qualcosa di grave. E questo non tanto alla manifestazione di sabato, quanto in generale sotto forma di attentato terroristico. Ma impedire qualcosa di simile è naturalmente molto difficile. D'altro canto, gli organizzatori della manifestazione di sabato 25 gennaio contro il Wef dovrebbero dire chiaramente che non vogliono nessun tipo di violenza, nemmeno contro le cose. E invece fanno dei distinguo su un punto che secondo me dovrebbe essere chiaro e inequivocabile: dicendo che non vi sarà violenza contro le persone infatti lasciano intendere che danneggiamenti non sono affatto esclusi. Dunque anche il movimento su questo punto sbaglia? Sì. Gli organizzatori dovrebbero dire chiaramente che la volontà è di manifestare in maniera assolutamente pacifica. Limitando la nonviolenza alle persone si rischia di impedire un patto che sarebbe molto semplice da raggiungere: da un lato impegno per una manifestazione senza danni collaterali, dall'altro rinuncia ad ogni controllo d'identità. Sono convinto che sia possibile una convivenza pacifica fra Forum economico e antiglobalizzatori. Cosa si dovrà fare per il Forum 2004? Vediamo innanzitutto come andranno le cose quest'anno. Dopo il 2001 tutte le parti avevano detto che così non si poteva più continuare. Da allora ci sono stati due anni di tempo per elaborare nuovi approcci e nuove strategie operative. Ma più si avvicina il Wef, più si torna all'approccio di due anni fa. Se i fatti del 2001 si ripeteranno, quello di quest'anno sarà certamente l'ultimo Forum economico mondiale a Davos. E come me la pensa la maggioranza della popolazione grigionese, se non la maggioranza dei politici.

Pubblicato il

17.01.2003 01:30
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