«A Schmidheiny vorrei chiedere: Perché non ha risarcito?»

Bruno Pesce (Associazione delle vittime) spiega la trattativa che ci fu prima del primo processo

Trentamila euro per ogni cittadino morto e ventimila in media per ogni operaio. Sono i risarcimenti che l’imputato del processo Eternit Stephan Schmidheiny offre ai parenti delle vittime dell'amianto perché si tolgano dai processi, perché cioè rinuncino a costituirsi parte civile.  La pratica va avanti sin da prima del processo di Torino ma ha preso piede soprattutto dopo la sentenza della Cassazione del 2014, complice un generale aumento della sfiducia nella giustizia.

 

«Si tratta di un’offerta unilaterale, che fa seguito al fallimento voluto dagli avvocati di Schmidheiny di una trattativa per una eventuale possibile transazione collettiva prima del primo processo – spiega Bruno Pesce dell’Associazione familiari vittime amianto di Casale Monferrato–. Ci fu un solo incontro a Milano, dove ci vennero poste condizioni provocatorie per obbligarci a rifiutare: pretendevano infatti che noi garantissimo che in Italia non ci sarebbe più stata alcuna causa o denuncia contro Schmidheiny. Dopo poco tempo ha quindi formulato questa offerta, che in molti hanno accettato. C’è gente che lo ha fatto con grande sofferenza perché confrontata con una situazione di necessità e c’è gente che magari non si è posta la questione della necessità di un’affermazione, certo difficile, della giustizia».

 

Il versamento di risarcimenti sfoltisce il numero di parti civili nel processo, ma non impedisce la sua celebrazione. Perché lo fa a suo avviso?

Lui lo fa sicuramente per togliersi di torno le parti civili, che in caso di una condanna avrebbero la strada spianata per risarcimenti molto molto più consistenti. Credo però che lo faccia anche per dimostrare che lui è un filantropo e per poter decantare che lui ha risarcito tante vittime. Ma se veramente avesse voluto risarcire avrebbe dovuto farlo prima, dopo la chiusura dello stabilimento nel 1986. E tirando fuori una somma adeguata alla dimensione del disastro, che per lui non voleva dire certamente togliersi gli alimenti. Avrebbe potuto prendere umilmente atto del disastro e offrire una riparazione: per la bonifica, per la ricerca, per le vittime di ieri, di oggi e di domani. Oltre che adoperarsi, da buon “filantropo”, in Italia e a livello internazionale, per bandire l’amianto e per la sua riconversione.

 

Se avesse l’opportunità, incontrerebbe Schmidheiny e cosa gli direbbe?

Gli parlerei volentieri e gli chiederei perché non ha risarcito e riparato in modo dignitoso e in termini complessivi. Perché non ha capito quello che si stava facendo in quella trattativa o perché l’ha presa troppo alla leggera? E cosa ha voluto privilegiare con quell’atteggiamento di interrompere tutto con un’azione provocatoria? Mi piacerebbe sentire una sua risposta. Anche se ciò che ci attendiamo di più è che la magistratura, con i necessari interventi dello Stato, recuperi la sua finalità: l’affermazione della giustizia.

Pubblicato il

24.06.2021 18:25
Claudio Carrer

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