L'inchiesta

«Il comitato dell’Associazione l’Orto, che rappresento, si riserva di adire le vie legali per diffamazione se area non smentirà in modo inequivocabile le sue false insinuazioni».
Spiacenti ma da smentire non abbiamo proprio nulla. Semmai qualcosa da aggiungere.


Riassunto della puntata precedente: nell’ultimo numero abbiamo dato conto di una denuncia penale depositata al Ministero pubblico per lavoro nero e maltrattamento sporta da un lavoratore 64enne contro un’unica persona: l’imprenditore agricolo proprietario dell’agriturismo “Al Cairello” di Manno, che è anche ai vertici della Mondino SA di Muzzano, ditta che commercia in prodotti ortofrutticoli. La particolarità è che à côté della Mondino, praticamente nello stesso spazio, si trova anche l’Orto, azienda sociale, sostenuta con i soldi dello Stato, che impiega carcerati a fine pena o persone con problemi personali in vista di un reinserimento socio-professionale degli emarginati.Azienda sociale – va detto per inciso – che vende in esclusiva a Crotta la propria produzione. Il legame, proprio in virtù di questa esclusività, è forte.

 

Questo in sintesi è il riassunto del primo capitolo che puntava il dito, sulla base delle testimonianze da noi raccolte, contro la conduzione di Crotta definita di stampo schiavista e irrispettosa dei lavoratori. Il granconsigliere Armando Boneff, che è presidente dell’Associazione l’Orto, ci ha incolpati di aver confuso l’azienda Mondino con quella sociale e ha precisato che «noi non abbiamo mai impiegato personale in nero (ci mancherebbe altro!)». Giusto, ci mancherebbe altro che un’azienda sociale finanziata con i soldi dello Stato si macchi di reati: non ne abbiamo il minimo dubbio, né abbiamo mai voluto farlo credere.
Non avevamo neppure confuso l’Orto con Crotta. Ma i legami («solo di tipo commerciale» precisa Boneff) ci sono eccome e non si possono negare.


La presa di posizione furibonda di Boneff – come è stata definita dalla stampa –  ha però avuto il merito di sollevare il velo su altri aspetti del rapporto commerciale Orto-Crotta di cui non eravamo a conoscenza e che oggi invece possiamo raccontarvi proprio grazie all’intervista realizzata con il presidente dell’Associazione l’Orto.


Signor Boneff, “area” non intendeva in alcun modo attaccare l’Orto. Si sollevava, questo è vero, qualche perplessità sulla stretta convivenza con le aziende del Crotta… La domanda è forse ingenua ma semplice: non c’erano altri terreni a disposizione dove realizzare il progetto di recupero sociale? Sedimi magari pubblici?


Io sono presidente dell’associazione da un anno e non c’ero quando l’iniziativa è stata lanciata, per cui non posso risponderle. Con il mio arrivo ho ereditato una serie di problemi, in primo luogo quello della sopravvivenza, della mancanza di soldi. Lei lo sa, vero, che l’Orto è già fallito una volta? Bene, oggi stiamo in piedi. Il comitato composto da 13 volontari non prende neanche un franco; il tornaconto per noi è legato solo alla soddisfazione personale. Ci sono unicamente quattro persone stipendiate. Tutto si può dire, ma non che vi sia una finalità di lucro.

Per capirci, voi coltivate su un’area di 25 mila metri quadrati di proprietà del Crotta…


Sì, siamo in affitto e paghiamo per l’usufrutto delle serre 60 mila franchi all’anno. Una volta erano ben 100 mila... Qualcosa è migliorato.

Lavorate la terra, coltivate, pulite la verdura, la confezionate e una volta pronta al consumo la compra il Crotta, il quale non ha dovuto fare nulla ma può ora rivenderla almeno al doppio di quanto l’ha pagata. Senza aver dovuto sostenere costi di personale, manodopera, di materiale o manutenzione. Anzi, si porta a casa anche 60 mila franchi d’affitto per concedervi la terre da coltivargli. Perché Crotta è l’unico acquirente? Perché non favorite la libera concorrenza o non ne fate un uso statale? L’Ente ospedaliero cantonale (Eoc) per i pasti ai degenti o le mense scolastiche non sarebbero interessate a usufruire dei vostri prodotti ortofrutticoli?


Il contratto con Enzo Crotta è sottoposto a un accordo, che gli permette di far valere una specie di privativa, che non è assoluta. Il proprietario delle serre è abbastanza flessibile, quello che non consuma ce lo lascia vendere a chi vogliamo. Le coltivazioni vengono definite dal Crotta, secondo le sue esigenze, con il nostro ingegnere agronomo. La produzione infine ci viene comprata dal nostro partner commerciale a prezzo di mercato: la Foft (Federazione orto-frutticola ticinese) stabilisce il prezzo giornaliero ed è a quello che ci atteniamo. Non abbiamo alternativa se non vendere a Crotta: l’accordo è un suo bisogno. Se non ci fossimo noi a coltivare questo terreno, ci sarebbe qualcun altro. So di italiani che erano interessati... Lo sa che il Cantone voleva chiudere l’Orto?

Ma voi, come Orto, quanto guadagnate da questa operazione?


La coltura costituisce circa la metà delle nostre entrate. Nel 2012 abbiamo incassato 402.598 franchi, ai quali si sommano i 280 mila franchi dal Dipartimento delle istituzioni e i 300 franchi mensili per ogni persona che ci inviano i Servizi sociali. Ma siamo in deficit. La presa a carico dell’utenza comporta infatti una serie di spese che sono a nostro carico. Per farle un esempio: abbiamo rinnovato il locale mensa riscaldato, dove far mangiare i nostri assistiti, e ricavato una biblioteca perché crediamo pure in un valore culturale del programma di recupero. Ultimamente abbiamo dovuto completare la rete di irrigazione e abbiamo speso più di mezzo milione di franchi. Alla fine dell’anno siamo sempre in deficit».

Interventi di manutenzione su strutture molto vecchie, di proprietà altrui che sono però a vostre spese. Il Crotta ci guadagna parecchio da questo accordo?


Non posso dire di no. Ma l’attività agricola è uno strumento funzionale per potere aiutare delle persone oggettivamente in difficoltà.

Un sistema sociale all’interno di un sistema che appare altamente disfunzionale… A voler essere maligni si potrebbe dire che più che altro è funzionale al Crotta, cui si fornisce manodopera gratuita, prodotti finiti e pronti per essere immessi nella grande distribuzione...


Si possono avere visioni diverse. Noi crediamo nell’utilità di questo programma occupazionale a favore di utenti con un vissuto particolare, mentre a livello personale non traiamo nessun vantaggio. Guardi, se domani decido di chiudere l’Orto, il Cantone non si strappa i capelli. Teniamo duro per queste persone. Crotta per noi in questo momento è una necessità: se vendesse il sedime, che fine farebbero i nostri utenti? E poi, non sarà un santo, ma è stato provvidenziale per alcune persone, in particolare tossici, che ha aiutato facendoli lavorare nelle sue aziende. Queste sono realtà da tenere d’occhio: se chiudessero, mancherebbero.

Quanti utenti riuscite a collocare una volta terminata la loro esperienza all’Orto? Avete dei controlli, delle statistiche?


Registriamo i dati nel limite del possibile. Mi hanno mostrato delle statistiche di qualche anno fa dove era indicato un tasso di collocamento del 30%. Mi sono sorpreso anche io del successo: quasi un miracolo. Oggi esattamente non so la cifra, ma le dico che la nostra utenza è contenta di lavorare con la terra. Ho visto persone entrare spontaneamente in serra nei mesi estivi con 40 gradi di temperatura, per contro non ho mai assistito a un atto di insubordinazione anche se abbiamo a che fare con persone dal passato non sempre tranquillo.  
 
Dopo le sue esternazioni sui media, la redazione è stata contattata da lettori che, disposti a essere citati come testi in un’eventuale azione legale, ci hanno descritto un Orto alla sbando, con gente allo sbaraglio, senza indirizzo, un’utenza che non viene accompagnata in un percorso di recupero, né motivata. «L’Orto è l’espressione peggiore dei programmi occupazionali. C’è uno sfruttamento indegno dell’essere umano. Strutture che non funzionano. Si mina l’autostima dell’individuo. L’essere umano ne risente parecchio. È schiavitù vera» sono alcune delle dichiarazioni che ci sono state trasmesse.


Le persone che aderiscono al nostro programma, senza voler stigmatizzare nessuno, sono per la maggior parte dei casi problematici. Alcune quasi alla canna del gas. Presentano quindi anche delle patologie caratteriali. C’è chi addirittura ci ha denunciati alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Prima di prendere per buona ogni dichiarazione, bisognerebbe vedere con i propri occhi. Se volete passare, siete i benvenuti in qualsiasi momento. E vedrete che nessuno viene sfruttato: qualcuno di loro, è vero, ci rende e va nelle serre; altri, come i ragazzi metadonici, stanno sdraiati sul divano e nessuno li obbliga a fare nulla.

Signor Boneff, le critiche, pesanti, sono state mosse non da ex utenti, ma da persone che hanno ricoperto un ruolo istituzionale e professionale all’interno dell’Orto.


Sarebbe utile che queste persone si confrontassero apertamente.

Pubblicato il 

06.06.13

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