In carica da poco più di tre anni, il Procuratore generale della Confederazione, Stefan Blättler, sottolinea in questa intervista realizzata per la pubblicazione romanda Gotham City come la sicurezza passi anche dalla lotta contro la criminalità organizzata e contro la criminalità economica: «Se una grande azienda non rispetta il quadro giuridico, ciò mina la fiducia nella Svizzera e nelle sue istituzioni. Questo ha un impatto molto diretto sullo sviluppo del Paese». Lʼintervista è stata realizzata a Berna il 26 febbraio assieme al giornalista vodese François Pilet. Signor Blättler, se ci fosse un cantiere, una trasformazione che ritiene di poter portare a termine durante il suo mandato e di cui sarebbe orgoglioso, quale sarebbe?
Ci sono diversi punti importanti. Il primo è chiaramente quello delle risorse assegnate al perseguimento penale. Non mi riferisco alle risorse di cui dispongo direttamente, cioè al numero di collaboratori e procuratori. Su questo punto lo dico apertamente e con gratitudine: il Parlamento mi ha ascoltato. Ho ricevuto il rinforzo che avevo chiesto (ndr: sette posti nel 2025). Detto ciò, ho anche deplorato pubblicamente il fatto che i partner da cui dipende l’MPC, in particolare la polizia federale, non dispongano delle risorse necessarie. Può fornirci un esempio delle difficoltà che ciò comporta?
Molto spesso, nel campo delle organizzazioni criminali, gli indizi provengono dall’estero. Studiando questi casi, ci si rende subito conto che bisognerebbe condurre un’indagine, cioè raccogliere tutti gli elementi che consentano di verificare o smentire questi sospetti. Ma questo è un lavoro tipico della polizia. Non posso mandare i miei procuratori sul campo per effettuare perquisizioni e analizzare tutti i documenti. Ma quando ne parliamo con i colleghi della polizia, ci dicono: «Sì, è molto interessante, ma non abbiamo i mezzi perché siamo già impegnati su altri casi». Credo che alla lunga questo sia pericoloso. Quali sono i rischi?
Non vorrei mai leggere sulla stampa che alcuni casi non sono stati trattati perché la prescrizione è stata raggiunta e l’MPC non ha fatto nulla, mentre il problema risiede nella mancanza di personale della polizia. Non si tratta di evitare critiche, ma dell’interesse e della sicurezza del paese. Se si diffonde la notizia che qui i criminali corrono pochi rischi, avremo perso la partita. Non si può dare l’impressione che in Svizzera regni una sorta di impunità, perché lo Stato non si è dotato dei mezzi necessari. E credetemi, questo messaggio passa molto velocemente. Concretamente, quanti posti sarebbero necessari?
Nei cantoni ci sono circa sei o sette poliziotti per procuratore. A livello federale non ci sono nemmeno due poliziotti per procuratore. Ovviamente bisogna essere realisti. Non chiederò di aumentare l’organico di fedpol di 150 unità entro la fine di quest’anno. Anche se il Parlamento e il Consiglio federale fossero d’accordo, non dobbiamo illuderci: non troveremmo così tanti poliziotti e analisti. Il mercato non ne produce così tanti, e l’obiettivo non è quello di svuotare gli effettivi delle polizie cantonali. Ho proposto al Parlamento di assumere da 5 a 10 persone in più all’anno per un periodo di tre, quattro o cinque anni. Ciò dovrebbe essere sostenibile per il bilancio e potremmo trovare queste persone senza danneggiare i Cantoni che ne hanno bisogno. La recente condanna della società di trading petrolifero Trafigura ha lasciato il segno. Per la prima volta nella storia giuridica svizzera, un tribunale ha esaminato la responsabilità penale di una multinazionale in un caso di corruzione di agenti pubblici stranieri. Che significato ha questa decisione?
Preciso che si tratta di una sentenza di primo grado, non ancora cresciuta in giudicato. Ma è effettivamente la prima volta che un tribunale si pronuncia su un caso del genere, il che costituisce un segnale forte. Finora le condanne di imprese per corruzione transnazionale sono avvenute tramite decreti d’accusa, uno strumento considerato meno incisivo e che non dà luogo a un processo pubblico. Si tratta ad ogni modo di una condanna, alla stessa stregua di quella pronunciata da un tribunale. Tuttavia, per quanto riguarda i fatti che coinvolgono le imprese, lei vorrebbe introdurre un nuovo strumento nell’arsenale giuridico svizzero…
Ritengo che sarebbe utile disporre di uno strumento come quello che i paesi anglosassoni chiamano DPA (Deferred prosecution agreement, patteggiamento differito) e che la Francia ha introdotto nel 2016 e denominato Convenzione giudiziaria di interesse pubblico. Non si tratta di rinunciare alla sanzione penale, ma di poterla sospendere se l’impresa ammette i fatti, ripara i danni, restituisce quanto ha guadagnato illecitamente, tiene conto delle richieste civili e corregge un’organizzazione carente. L’attuazione di queste misure sarebbe monitorata. Sarebbe un enorme progresso rispetto al decreto d’accusa. Ad esempio, un’azienda potrebbe nuovamente partecipare a gare d’appalto pubbliche all’estero, poiché non risulterebbe condannata. Una banca non rischierebbe di perdere le sue licenze in altri paesi. Questa soluzione presenta solo vantaggi: il diritto è ristabilito, il danno è riparato, l’azienda è soggetta a un monitoraggio e – questo è il punto chiave – ha ammesso i fatti. Tutto ciò sarebbe un vantaggio per la piazza economica e finanziaria svizzera. Il suo omologo ginevrino Yves Bertossa ha recentemente criticato questo approccio, dichiarando: «Sono un procuratore, non un agente di promozione economica». Non c’è un aspetto di “promozione economica” nel suo discorso?
In tedesco, il procuratore si chiama Staatsanwalt: siamo gli “avvocati dello Stato” e dobbiamo tutelare gli interessi della società nel suo complesso. È nell’interesse di questa società che le istituzioni funzionino, così come l’economia, se rispetta le regole. L’approccio di Yves Bertossa equivale a dire: fiat justitia pereat mundus (ndr: che sia fatta giustizia, anche se il mondo deve perire). Non sono affatto d’accordo. Non sto difendendo l’impunità. Vogliamo semplicemente evitare di “uccidere” un’azienda, perché è un elemento chiave dell’economia. Ma l’individuo che ha agito intenzionalmente, che ha contribuito ad un arricchimento o si è arricchito, deve comparire davanti a un tribunale. Il DPA che lei auspica non deve quindi includere una clausola che escluda la responsabilità delle persone fisiche, ad esempio dei dirigenti?
No, ciò sarebbe del tutto inaccettabile. Equivarrebbe ad acquistare la giustizia. È necessario trattare separatamente la persona fisica e la persona giuridica, l’intenzione dalla negligenza. Nel caso Trafigura, abbiamo presentato un atto di accusa contro l’azienda e, nello stesso procedimento, anche contro i presunti responsabili individuali. Una proposta per introdurre un tale DPA è però già stata bocciata dal Parlamento nel 2018, Quali sono i principali ostacoli oggi?
Ho proposto una modifica rispetto al progetto del 2018: a differenza degli Stati Uniti, dove non è necessario, un accordo di questo tipo dovrebbe essere convalidato da un tribunale. Capisco che questa mancanza di convalida giudiziaria possa far pensare a un “accordo” concluso a porte chiuse. Inoltre, andrebbero resi pubblici sia l’accordo stesso quanto le condizioni della sospensione del procedimento e i fatti. Tutto deve essere trasparente. Stiamo discutendo con dei parlamentari e con la Federazione Svizzera degli Avvocati, che condivide la nostra opinione su questa necessità. Fare una buona legislazione in Svizzera richiede molta pazienza. Se posso dare il via a questa riflessione, ne sarei già contento (ndr: il 26 febbraio la Commissione degli affari giuridici del Consiglio degli Stati ha chiesto al Consiglio federale di esaminare la possibilità di introdurre un tale strumento). Bisogna anche rivedere l’importo della multa massima di 5 milioni per le imprese previsto dal codice penale?
Nella legge sui cartelli, la multa può essere fissata in base al fatturato. Perché non introdurre questo principio anche nel codice penale? Il Consiglio federale ha recentemente dichiarato che non è necessario. La confisca dei beni patrimoniali e il risarcimento rappresentano certamente somme importanti, ma si tratta semplicemente della restituzione di ciò che è stato guadagnato illegalmente! Quando Glencore è stata condannata nel 2024, i giornali hanno riportato titoli secondo cui l’azienda aveva pagato una multa di 150 milioni. Ma non è vero: in realtà era di due milioni, il resto corrispondeva a un risarcimento. La multa deve essere qualcos’altro. Ma 5 milioni al massimo sono ovviamente ridicoli quando abbiamo a che fare con delle multinazionali. Su questo punto, gli altri paesi ci guardano con stupore. Questi risarcimenti vengono incassati dalla Confederazione, mentre sono spesso legati a pratiche di corruzione che hanno avuto luogo in paesi poveri. Non dovrebbero essere restituiti a questi paesi?
La procedura di condivisione (Sharing) avviene tramite il Governo, il Dipartimento di giustizia e polizia e l’Ufficio federale di giustizia. È lodevole voler restituire i fondi che sono stati sottratti a questi paesi. Ma la questione non è così semplice: come assicurarsi che questo denaro arrivi dove si intende inviarlo? È una decisione politica. Ci sono anche aspetti legati alla cooperazione durante le indagini. Alcuni Stati non vogliono sentire parlare delle indagini che conduciamo. Nell’ambito europeo è facile dire a un’autorità partner “avete fatto la maggior parte del lavoro, una parte vi sarà restituita”. Ma se lo Stato è assente, è più difficile. Sarebbe assurdo restituire queste somme e poi dover riaprire un’indagine sei mesi dopo perché il denaro è stato nuovamente depositato su un conto in Svizzera. Il solo risarcimento versato da Glencore rappresenta due anni di spese di funzionamento della Procura federale... Alcuni vi rimproverano di interessarvi solo dei dossier con sequestri importanti in serbo.
Siamo chiari: non siamo qui per rimpinguare le casse dello Stato. Spetta al governo decidere se restituire queste somme e a chi.
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