...36 ore possono bastare

La lotta per la diminuzione dell’orario di lavoro è una di quelle lotte sindacali che, come il recupero del potere d’acquisto dei salari, non finiscono mai perché ogni traguardo raggiunto non è mai definitivo. Ma se per gli aumenti salariali, davanti all’avanzare dell’inflazione, è relativamente facile farne riconoscere la necessità, per la diminuzione dell’orario di lavoro tutto diventa più difficile. Il progresso tecnologico e l’aumento dello stress e dello sfruttamento umano che ne deriva, rendono più che mai evidente la necessità di ridurre l’orario di lavoro, quale adeguamento al continuo progresso della società. Eppure, è sempre difficile fare questo discorso in Svizzera e spesso sono gli stessi lavoratori che vi si oppongono. Ciò fa pronosticare a molti una netta sconfitta dell’iniziativa in votazione popolare il prossimo 3 marzo. Su questo pronostico, e sugli argomenti che avanzano gli avversari, abbiamo intervistato Vasco Pedrina e Renzo Ambrosetti, presidenti rispettivamente del Sei e della Flmo La parola al presidente del Sei Vasco Pedrina, secondo il Consiglio federale, l’iniziativa è troppo globale e massiccia e non tiene conto delle differenti esigenze dei vari settori dell’economia. Cosa risponde il sindacato? Pedrina: L’iniziativa non è rigida: rende possibili vari modelli di riduzione del tempo di lavoro (giornata di 7,2 ore, settimana di 4 giorni, orario settimanale di 39 ore, due settimane in più di ferie, ecc.) che potranno essere concordati per ogni ramo economico nei Ccl. È inoltre prevista l’introduzione delle 36 ore, calcolate su base annua, in modo progressivo nell’arco di 7 o 8 anni, così da lasciare sufficiente tempo di adattamento alle nuove condizioni. D’altronde, dopo gli abusi degli anni ’90 è più che mai necessario procedere a una riduzione a 48 ore del massimo di lavoro settimanale, a una riduzione a 100 ore annuali del massimo di lavoro supplementare, e all’introduzione di un orario di lavoro normale nei settori dove viene calcolato su base annuale. Si dice che i lavoratori talvolta preferiscono guadagnare di più che lavorare di meno. L’iniziativa va dunque contro alcuni interessi dei lavoratori? Pedrina: È chiaro che le priorità di chi ha un salario basso sono diverse da quelle di chi è ben pagato. Ma tutti hanno interesse a una riduzione del tempo di lavoro. Se i sindacati non avessero condotto nella storia, ripetutamente e con tenacia, la battaglia per la riduzione del tempo di lavoro, oggi conosceremmo molta più disoccupazione, a scapito anche di chi guadagna meno. Compito del sindacato non è soltanto di considerare gli interessi immediati dei singoli, ma anche e soprattutto di perseguire una politica di medio e lungo termine che risponda agli interessi di tutti i salariati. La nostra iniziativa si inserisce in questa ottica. Secondo gli oppositori, se approvata l’iniziativa comporterebbe troppi rischi gravi: trasferimento di aziende in paesi con costo del lavoro meno alto, aumento del lavoro nero, aumento dello stress, riduzione dei salari, disoccupazione. Pedrina: Ogni volta che nella nostra storia i sindacati hanno rivendicato la riduzione del lavoro, la risposta padronale è stata di paventare una catastrofe economica. È stato così nella seconda metà dell’Ottocento per il passaggio alla giornata lavorativa di 11 ore; dopo lo sciopero generale del 1918 per le 48 ore settimanali; quando in diversi rami economici si è passati alle 40 ore; recentemente in Francia per l’introduzione delle 35 ore. La catastrofe non si è mai realizzata e non vi sarà neppure questa volta. Abbiamo invece un grande ritardo da recuperare sulla maggioranza degli altri paesi industrializzati. Non si vede poi perché il lavoro nero debba aumentare, se, come prevede l’iniziativa, la compensazione salariale è assicurata all’80 per cento dei lavoratori che guadagnano meno di 7’600 franchi. Lo stress è incredibilmente aumentato negli anni ’90, benché gli orari di lavoro non siano per nulla diminuiti. E l’esperienza francese recente mostra che la riduzione della durata del lavoro contribuisce a far diminuire la disoccupazione. Tutte le previsioni dicono, in base all’esperienza del passato, che l’iniziativa verrà respinta. perché la sinistra insiste su un tema sul quale gli svizzeri non sembrano vogliano cambiare idea? Pedrina: Vi sono iniziative che vengono lanciate con l’obiettivo assoluto di vincere in votazione popolare. Ve ne sono altre – e la nostra è una di queste – che hanno lo scopo primario di provocare, a livello politico e nella società, un dibattito su temi tabù, proponendo alla gente il confronto con nuove prospettive, nuove visioni del modo di vivere in un paese. Anche se in passato tutte le iniziative sull’orario di lavoro sono state respinte in votazione popolare, col tempo le nostre rivendicazioni sono però diventate realtà. E ogni volta, nei periodi che precedono e seguono le votazioni su tali temi, sono stati fatti progressi sul piano contrattuale. Negli anni ’90, non avendo lanciato iniziative a livello politico, abbiamo conosciuto il blocco totale sul piano contrattuale. Non la sera del 3 marzo, ma fra 5 o 10 anni potremo trarre il bilancio dell’effetto indiretto che avrà avuto questo nostro nuovo tentativo. In quale misura la concomitante votazione sull’adesione all’Onu potrà influire sul risultato di questa iniziativa? Pedrina: Il pericolo che questa concomitanza ci sia sfavorevole è grande. La destra blocheriana ha capito bene la notevole importanza della votazione sull’Onu per lo sviluppo dei rapporti di forza politici nel paese. I conservatori andranno in massa a votare; e non c’è dubbio che voteranno «no» pure sulle 36 ore. C’è da sperare che anche la sinistra realizzi l’importanza dell’una e dell’altra votazione e sia all’altezza della grande mobilitazione della destra. Se ciò si verificherà, possiamo sperare in un risultato rispettabile sulle 36 ore. L’opinione del presidente della Flmo Renzo Ambrosetti come sono gli umori all’interno della Flmo sull’iniziativa per una durata ridotta del lavoro? Ambrosetti: La riduzione dell’orario di lavoro è da sempre al centro dell’attenzione del sindacato Flmo. Già a metà degli anni ’80 un congresso decise di rivendicare le 35 ore. In quel decennio, grazie all’impegno della Flmo, nell’industria delle macchine furono ottenute le 40 ore. Consapevoli che si tratta di una battaglia sul lungo periodo, i militanti del nostro sindacato saranno in prima linea anche in occasione della votazione del 3 marzo. È risaputo che nella sinistra e nei sindacati non tutti sono d’accordo con le 36 ore. L’iniziativa sembra quindi destinata alla bocciatura. È stata una decisione avventata non ritirarla in tempo? Ambrosetti: Il ritiro dell'iniziativa sarebbe stato un errore strategico enorme: come dire che il tema della riduzione dell’orario di lavoro non interessa più. Con che faccia avremmo potuto in seguito presentarci alle trattative per il rinnovo dei contratti collettivi, e rivendicare una riduzione dell’orario di lavoro? Abbiamo detto che questa è una lotta di lungo respiro. Perciò dobbiamo impegnarci a raccogliere molti consensi, anche se probabilmente l’iniziativa verrà bocciata. Sarà la migliore risposta al padronato e ai partiti borghesi, ma anche a quei sindacati che – in preda alla necessità di profilarsi – si sono distanziati, e a quella sinistra «dura e pura» che da sempre cova al suo interno animosità nei confronti del movimento sindacale. Leggendo l’iniziativa senza lenti deformanti, dovrebbero rendersi conto che essa pone chiari limiti alla flessibilità. Il Consiglio federale afferma che la riduzione dell’orario di lavoro dovrà continuare ad essere oggetto di accordo tra le parti sociali. Data la tradizionale disponibilità della Flmo al dialogo, non le sembra una considerazione giusta? Ambrosetti: È la solita storia: non solo il governo, ma anche gli ambienti padronali sostengono che la via della contrattazione collettiva è la strada giusta per accordarsi sulla riduzione dell’orario di lavoro. Il sindacato Flmo da sempre privilegia la via contrattuale. Ma poi, di fronte a rivendicazioni puntuali nell’ambito delle trattative, il padronato risponde che la riduzione dell’orario di lavoro non può essere effettuata in un solo settore e che non vogliono essere loro i primi a far breccia scendendo sotto le 40 ore. Occorre allora battere altre strade, come quella della regolamentazione per legge. Se accolta, l’iniziativa porterebbe più tempo libero ai lavoratori, i quali in parte lo vogliono e in parte l’avversano per ragioni differenti. Secondo lei, pesano di più le ragioni degli uni o quelle degli altri? Ambrosetti: La Svizzera conosce la durata del lavoro più lunga d’Europa, dove va dalle 35 e alle 40 ore settimanali, mentre da noi per legge è di 45 ore e per contratto collettivo fra 40 e 42 ore. La sua diminuzione permette di migliorare la qualità della vita, con più tempo per lo svago e per occuparsi della famiglia e della formazione. I crescenti ritmi e le pressioni sul posto di lavoro fanno sì che bisogna avere più tempo per «ricaricare le batterie»: gli effetti dello stress sulla salute sono ampiamente documentati. Ora, non penso che gli Svizzeri siano tutti stacanovisti. Penso invece che dovrebbero smetterla di farsi impressionare dalle argomentazioni catastrofistiche, padronali e filopadronali, secondo cui la riduzione dell’orario di lavoro comporterebbe effetti nefasti sull’economia, sui posti di lavoro e sui redditi dei dipendenti. In passato, riducendo l’orario di lavoro non siamo andati in fallimento, come non sono falliti gli altri paesi che l’hanno fatto. La Germania continua ad essere in testa alla graduatoria delle nazioni industrializzate, nonostante vi si lavori 35 ore nel settore industriale, dove anche i salari sono sempre cresciuti. Il lavoro nobilita, certo, ma i nobili pensano a sé stessi e lavorano poco…. L’iniziativa era stata pensata anche come rimedio contro la disoccupazione. Ma oggi il problema sembra essere soprattutto quello della mancanza di manodopera qualificata. La settimana di 36 ore aiuterebbe a risolverlo? Ambrosetti: È vero, l'iniziativa è stata lanciata a metà degli anni ’90 in piena crisi economica e con alta disoccupazione. Se la riduzione dell’orario di lavoro permette di stabilizzare l’occupazione, ciò è sicuramente positivo. Ma il problema della mancanza di manodopera qualificata può solo in parte essere risolto con le 36 ore, poiché i dipendenti avrebbero maggior tempo per perfezionarsi professionalmente. Qui si tratta però di sviluppare un’intelligente politica della formazione e del perfezionamento professionali. I sindacati sono molto attivi e, parallelamente all’iniziativa delle 36 ore, ne hanno lanciato una anche nel campo della formazione (Lipa) i cui elementi principali hanno influito sulla revisione in corso della legge federale sulla formazione professionale. Iniziativa dell'Uss: ecco le novità Ecco, concretamente, quali sono gli elementi dell’iniziativa sulla riduzione del tempo di lavoro in votazione il prossimo 3 marzo. • Riduzione progressiva, sull’arco di 8 anni circa, della durata del tempo di lavoro a 1872 ore all’anno (ossia una settimana di 36 ore con diverse varianti possibili) • Durata massima della settimana lavorativa di 48 ore, comprese le ore di lavoro supplementari (oggi la durata del tempo di lavoro può raggiungere le 66 ore) • Riduzione del tempo di lavoro supplementare da 170/140 ore a 100 all’anno; compensazione, in generale, in tempo libero • Definizione di una durata di lavoro usuale per per ogni contratto di lavoro (per lottare contro il lavoro su chiamata) • Soppressione di qualsiasi discriminazione nei confronti del personale impiegato a tempo parziale (per quanto concerne, per esempio, i supplementi per le ore supplementari svolte) • Nessuna decurtazione del salario consecutiva alla riduzione del tempo di lavoro fino ad uno stipendio di 7 mila 600 franchi al mese; i salari del personale a tempo parziale saranno aumentati proporzionalmente. • Aiuto finanziario della Confederazione alle imprese che riducono il tempo di lavoro nel tempo più breve (10 per cento e oltre all’anno) creando così dei posti di lavoro; una misura, importante, per esempio, per le piccole medie imprese che praticano orari pesanti.

Pubblicato il

15.02.2002 02:30
Silvano De Pietro