24 novembre a Berna: una giornata con i «sans papiers»

Xhevat, albanese del Kosovo, si è aggregato al collettivo dei sans-papiers di Friborgo da alcune settimane. È uno degli ultimi arrivati, ma è il primo a scendere in cucina. Il primo, con Zyber, ad abbandonare il dormitorio-galleria d’arte di Fri-Art, locale d’esposizione che deve essere reso al pubblico al mattino, all’apertura del centro. Materassi e coperte sono impilati in un vano stretto e lungo da cui non sarà facile estrarli la sera. Fa freddo nei locali del rifugio provvisorio-permanente dei sans-papiers, dopo l’espulsione della chiesa di St-Paul. Il centro d’arte contemporanea si trova nella parte bassa della città, è situato ad una trentina di metri dalla Sarine, fiume che divide Friborgo nelle parti germanofona e francofona. C’è una specie di micro-clima in questo scorcio di quartiere situato in una conca angusta e corta. Nella cucina-refettorio l’aria fredda e pungente si invita senza bussare alla porta. Racconti di paure La figura esile di Zyber si muove tra i tavoli. «Ci vuole un tè», dice, «per scaldarsi un po’». Il giovane kosovaro, 30 anni, vive in Svizzera da undici stagioni. Vittima di un incidente al polso prima e alla caviglia poi, Zyber diserta i cantieri, suo malgrado, da un più di un anno. Si dice avvezzo ormai all’inattività. «Poi c’è la paura di farsi prendere», aggiunge versando l’acqua calda nelle tazze. «Soprattutto adesso che ci vogliono buttare fuori. Allora me ne sto tranquillo qui, al centro d’arte». Pesa infatti su 122 membri del collettivo (i cui dossier non sono stati accettati dal cantone) un ordine di espulsione del consigliere di stato socialista Claude Grandjean. Dal 31 ottobre, data-scadenza del rinvio coatto, i sans-papiers del collettivo friburghese vivono nel timore di essere arrestati, come è successo a Nasser e Rama, alla stazione di Friborgo. Un normale controllo di identità, dicono. Nasser è stato rinviato immediatamente a Pristina, Rama è recluso nella prigione di Vevey, condannato a 45 giorni di carcere (fino a fine dicembre) per violazione della legge sul soggiorno degli stranieri. Anche il robusto Xhevat prende una tazza di té. Lo sorseggia rapidamente e lo lascia sul tavolo, girandogli attorno come un animale in gabbia. Non riesce a stare seduto. E inattivo da tre giorni il giovane taglialegna : «è raro che io resti fermo senza fare niente tutto questo tempo. Comincio a spazientirmi». Xhevat ha chiesto qualche giorno di ferie per stare con i suoi compagni anche durante il giorno. L’ultimatum di Claude Grandjean sembrava il preludio ad un’evacuazione forzata. «Sarei voluto essere con i miei amici, se ci fosse stata una retata della polizia», dice Xhevat. Dell’intervento non si è visto però neanche il berretto di un brigadiere, almeno fino a ieri. «Claude Grandjean non può permettersi di far caricare il centro d’arte e brutalizzare i sans-papiers», spiega Sandra Modica, attivista del comitato d’appoggio al movimento dei sans-papiers di Friborgo. «Sarebbe come firmare la propria lettera di dimissioni». In verità un po’ di apprensione l’ha avuta anche lei, la collaboratrice del Centro contatto svizzeri-immigrati, fino a quando una telefonata «dall’alto» è venuta a confermare, mercoledì 31 ottobre, che l’assalto non avrebbe avuto luogo. Sandra teme però per chi si reca al lavoro, circa il 90% degli occupanti. «Non possono certo smettere dall’oggi al domani, dice. Queste persone sono tutte lavoratori seri che ci pensano due volte prima di saltare un giorno». Come Xhevat, che vuole già fare rientro al cantiere. Durante il percorso può accadere l’irreparabile. «Se mi vogliono prendere, mi prenderanno. Inutile cercare di nascondersi», dice il taglialegna. Nemmeno nei cantieri, o nei posti di lavoro, si è al sicuro. Gli ultimi occupanti scesi in cucina alla spicciolata, dicono che, malgrado le rassicurazioni dei datori di lavoro, un’ispezione a sorpresa sarebbe loro fatale. «Ma i poliziotti hanno altro da fare che stanare i sans-papiers direttamente nel posto di lavoro», afferma con ottimismo un giovane curdo. Nella rete della polizia Due minuti dopo la doccia fredda, inaspettata e violenta come uno schiaffo. Il telefono squilla, Sandra non riesce a credere al suo interlocutore che informa dell’arresto di Naïm, da quindici anni in Svizzera, prelevato dalla polizia mentre era … sul posto di lavoro. «Non fa parte del collettivo», dicono gli occupanti. «Non ci interessa». Quello che forse alcuni di loro non sanno è che Naïm è stato recentemente inserito nell’ultima lista di persone da inviare al cantone, primo gradino della procedura di regolarizzazione. La reazione di rigetto è dura ma comprensibile: «È un modo di auto-rassicurarsi», spiega Sandra Modica. «È normale, pensano, che Naïm si sia fatto prendere. Non è dei nostri! Almeno preferiscono credere che sia così». Intanto la notizia brucia, fa male. È come un pugno allo stomaco. «Saranno espulsi uno dopo l’altro…», dice Sébastien, studente in economia e membro del comitato di sostegno. Ecco la paura, la grande paura dei sostenitori. Si può far poco o nulla contro le espulsioni individuali, quelle che intervengono a seguito di un «controllo d’identità». La legge è esplicita, chiara, limpida. C’è allora chi evoca inevitabilmente le parole del ministro Pascal Couchepin – «i casi saranno trattati singolarmente, uno ad uno» – ; parole che risuonano oggi come un oscuro presagio. Il pericolo è un crollo della determinazione dei sans-papiers a continuare la lotta «per ottenere ciò che dovrebbe essere riconosciuto loro in quanto essere umani», afferma Sandra Modica : «il diritto alla legalità, alla formazione professionale, alla famiglia, il diritto di avere dei progetti di vita, compromessi invece da una situazione di pretesa assurda illegalità». Di coraggio il gruppo di occupanti ne ha però da vendere e da rivendere. Dopo pranzo sono in molti a chiedere di recarsi a Berna, dove ha luogo una conferenza stampa del collettivo che ha occupato la Paulus Kirch della capitale. «A dispetto del rischio di farsi prendere», afferma un curdo di una quarantina d’anni. «Kein Mensch ist illegal» In Svizzera tedesca la lotta si declina nei termini lapidari del «Kein Mensch ist illegal». Uno slogan che è stato modificato con un’aggiunta sapiente : Kein Mensch ist illegal sans papiers, quasi a voler indicare la comune sorte dei movimenti che si affermano in Svizzera romanda e tedesca, a Friborgo come a Losanna, a Ginevra e a La Chaux-de-Fonds, Neuchâtel, Zurigo, Berna e Basilea. A Berna il movimento dei sans-papiers ha impresso la settimana scorsa una svolta diversa da quella degli altri collettivi. Dalla lista di 170 nomi ne sono stati scorporati 78 (59 uomini e 19 donne) che sono stati affidati allo scrittore elvetico di lingua tedesca Adolf Muschg. In questo modo l’autorevole scrittore, giunto alla soglia dei settanta anni, diventa di fatto il nume tutelare di buona parte dei nominativi custoditi, per maggiore cautela, presso un notaio bernese. Intanto a Friburgo è stata deposta una petizione nell’ufficio del consigliere di stato Claude Grandjean, comprendente circa un migliaio di firme. Al ministro friburghese di Giustizia e Polizia è stato chiesto di tornare sulla decisione di rinvio di 122 sans-papiers del collettivo. A questo punto la manifestazione che avrà luogo sabato 24 novembre, a Berna, (appuntamento alle 14) si delinea come un banco di prova decisivo. La popolarità del movimento, che punta ad affermarsi sul piano nazionale, sarà valutata sul numero dei partecipanti. «Contro la schiavitù moderna, regolarizziamo i sans-papiers»: la manifestazione sarà una risposta al silenzio del parlamento, nel quale i sans-papiers, spiega un porta-voce entreranno in dicembre.

Pubblicato il

09.11.2001 04:00
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