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1980, la rinascita di Zurigo
di
Silvano De Pietro
Un ventenne di oggi che conosca Zurigo, che si giovi delle ampie opportunità culturali offerte da questa città, che segua in particolare le manifestazioni artistiche giovanili, che apprezzi le feste, frequenti l’annuale “Street parade”, vada a teatro ed ai concerti, e sappia approfittare del vasto campionario di ritrovi, bar, discoteche e via elencando, non potrebbe immaginare che cos’era questa piccola metropoli svizzera fino al 1980. Una città più tranquilla, certamente, molto più sicura di adesso, con meno tossicodipendenti e problemi sociali. Ma una città molto più noiosa. All’estero era conosciuta soltanto come grande piazza finanziaria internazionale. Incontrare un nero per strada era una cosa rara: gli stranieri più “visibili” erano gli italiani. Il massimo dell’esotismo gastronomico erano le pizzerie. Zurigo – e con essa gran parte della Svizzera – era meno aperta, meno cosmopolita, più triste. Merito del grande cambiamento a cui abbiamo assistito negli ultimi cinque lustri è stata la “rivoluzione culturale” giovanile del 1980. Qualcuno ha parlato di quella straordinaria stagione, come di un Sessantotto scoppiato in ritardo. Ma non era vero. Il Sessantotto c’era stato anche in Svizzera, anche a Zurigo, ma senza produrre, almeno in superficie, quei cambiamenti che sarebbero venuti con le proteste giovanili di dodici anni dopo. Il Sessantotto aveva motivazioni più politiche e più internazionali: c’era di mezzo la guerra americana nel Vietnam, il confronto tra l’Est comunista e l’Ovest capitalista, la guerra fredda, il terrorismo delle Brigate Rosse e della Rote Armee Fraktion, le centrali atomiche, il femminismo, eccetera. Il movimento dell’Ottanta aveva soprattutto motivazioni locali, ma con una carica e una determinazione che venivano dallo stesso Sessantotto, come ribellione al ritorno al privato, al ripiego nell’individualismo, che in quegli anni dilagava in Europa con gli “yuppies” (i giovani professionisti, carrieristi rampanti). Ad accendere la miccia ci volle poco. La città allora sovvenzionava esclusivamente la cultura tradizionale, classica, di cui s’era impadronita la borghesia. Quindi, il denaro pubblico andava alle istituzioni culturali tradizionali: all’Opernhaus (Teatro dell’Opera), allo Schauspielhaus (Teatro di prosa), al Kunsthaus (Museo d’arte moderna), alla Tonhalle (Auditorio ed orchestra sinfonica) e ad altre istituzioni minori ma dello stesso genere. Nulla, o quasi, alla promozione artistica “alternativa”, sia grafica, sia musicale, sia teatrale. I giovani non avevano spazi adeguati in cui ritrovarsi per dare libero sfogo alla propria creatività, per tenere concerti ed organizzare mostre e rappresentazioni, o magari anche solo per ascoltare musica e ballare, senza spendere per arricchire i proprietari di discoteche e locali più o meno costosi. Nelle liste delle manifestazioni culturali pubblicate dai giornali zurighesi, la rubrica “Jugendkultur” era sempre la più magra. Il 23 maggio 1980, per esempio, l’unica manifestazione segnalata era il concerto all’Hallenstadion con Bob Marley & The Wailers. Quel concerto fu però una specie di segnale per il movimento giovanile che pian piano nei mesi precedenti aveva cominciato spontaneamente a formarsi. In febbraio erano state occupate un paio di case sulla Hellmutstrasse (nel quartiere 4, quello della popolare Langstrasse), immediatamente battezzate “Centro giovanile autonomo”, da dove partivano azioni spontanee di protesta. Lì s’erano assembrati centinaia di giovani, praticamente in assemblea permanente; vi si poteva mangiare, dormire, c’era anche un cinema ed una stanza per fumare spinelli e “bucarsi”. Ma si erano anche organizzati un gruppo teatrale ed un gruppo di musica “punk”. All’improvviso Zurigo era diventata una città ricca di fermenti giovanili, alla pari di Londra, di Amsterdam o di Berlino (Ovest). Il 30 maggio ci furono i famosi tumulti davanti all’Opernhaus, che produssero soprattutto ingenti danni materiali. Dopo quella tempesta, Zurigo è gradualmente rinata ad una nuova vita. In questi 25 anni si sono avuti cambiamenti culturali e sociali prima impensabili. La città è diventata più aperta, più cosmopolita, più tollerante. La “Street parade”, per esempio, negli anni Settanta sarebbe stata vista come qualcosa di sovversivo. Una parte delle forze che avevano creato il movimento dell’Ottanta sono confluite nella “Rote Fabrik”: il primo centro giovanile “ufficiale” situato in una fabbrica abbandonata (in mattoni rossi, appunto), che gradualmente si è trasformato in centro culturale ed artistico di buon livello. Altri centri simili sono la “Kanzlei” ed il “Provitreff”, che offrono molto spazio alla creatività giovanile. Parecchi ritrovi clandestini sorti 25 anni fa si sono trasformati in bar, club e ristoranti in regola, con un’offerta gastronomica molto diversificata. Sono sorte nuove gallerie d’arte, teatri, gruppi di danza, locali in cui si fa buona musica. In breve, Zurigo è diventata una città culturalmente molto più ricca che in passato ed una delle più attrattive anche a livello internazionale. Se la cultura ed il tempo libero sono parte della qualità della vita, Zurigo deve anche a questa rinascita il riconoscimento internazionale del suo alto tenore di vita. Una città nella quale è possibile anche vivere, e non soltanto lavorare ed annoiarsi, e dalla quale non si debba scappare ad ogni fine settimana. La redazione della Woz (settimanale indipendente di sinistra nato sulla scia dei movimenti di protesta nella Zurigo degli anni Ottanta) occupa l’intero primo piano di un vecchio edificio del quartiere industriale (il “Kreis 5”), sulla strada che porta allo stadio Hardturm. Non vi sono uffici individuali: grazie all’abbattimento delle pareti interne ed all’assenza di divisori, tutti i redattori lavorano in un unico grande spazio. Dovendosi occupare di politica (svizzera e internazionale), economia, cultura, scienza, spettacoli, vita sociale e sport, per evitare una babele e disturbarsi a vicenda parlano tutti a bassa voce. Della storia, delle caratteristiche, degli obiettivi e delle difficoltà della Woz parliamo con la codirettrice dell’azienda Verena Mühlberger e con la codirettrice della redazione Susan Boos.
Com’è nata la Woz?
Mühlberger: Soprattutto dal progetto di giornale studentesco che esisteva già da qualche anno. Alcuni giornalisti di quella pubblicazione fondarono poi la Woz.
Quali erano le condizioni politiche e sociali, le attese e le rivendicazioni da cui è sorta la Woz?
Boos: Per il movimento giovanile di allora era molto difficile che temi sociali e rivendicazioni trovassero ospitalità sugli altri giornali. Le aspirazioni politiche sono rimaste le stesse; ciò che è cambiato è che un movimento così forte oggi non c’è. In compenso, i temi da affrontare sono più numerosi: oggi ci sono più Ong [organizzazioni non governative, ndr], la gente è più consapevole, quindi ci sono più questioni di politica dello sviluppo e di politica culturale di cui ci occupiamo.
Cos’è rimasto dello spirito contestatario di 25 anni fa? Dei bisogni politico-culturali di allora?
Mühlberger: Molto è cambiato rispetto agli anni Ottanta. Allora c’erano ben pochi spazi dove si potesse vivere e sperimentare altre culture. La Woz s’è molto impegnata in questa direzione, ed oggi qualcosa è cambiato: la richiesta in tal senso non è più così forte come allora. Boos: Nel frattempo sono sorti tanti piccoli collettivi, nei quali la Woz è sempre presente e che ha cercato di collegare. Diciamo che nei primi dieci anni il giornale s’è poco confrontato con la politica parlamentare, ma soprattutto con questi movimenti extraparlamentari. Poi c’è stata la presa di coscienza che la politica parlamentare diventava sempre più importante, in sintonia con il cambiamento di tutta la politica, con l’intera globalizzazione.
Ma com’è oggi il vostro rapporto con il movimento antiglobalizzazione?
Boos: Naturalmente gli siamo molto vicini. Diamo ospitalità a tutto ciò che si discute politicamente, ed anche al movimento stesso così come si presenta. Naturalmente riferiamo anche sulle situazioni difficili, per esempio come rapportarsi (si pensi alle prime contestazioni anti-Wef, ai fatti di Landquart, ecc) rispetto alla continua ricerca di un confronto con la polizia. Teniamo viva la riflessione permanente su questi temi. Altrimenti, siamo molto vicini all’intero movimento.
E qual è il vostro rapporto con i sindacati?
Boos: Di grande prossimità. Tuttavia, ci sono diverse cose verso le quali la posizione dei sindacati per noi non è chiara. La questione della crescita economica, per esempio, la cui necessità i sindacati sostengono, ma della quale noi ci chiediamo se sia l’unica soluzione possibile. Diciamo che abbiamo dei sindacati una visione critico-solidale. Per noi sono importanti, ma con loro vogliamo un confronto interessante ed importante, che deve svolgersi possibilmente in un clima amichevole.
La Woz è un giornale per intellettuali?
Boos (ride): Buona domanda. Ma penso che noi abbiamo il compito di preparare le persone sui grandi temi, su questioni poco conosciute anche a sinistra. Si possono fare diversi esempi: la liberalizzazione del mercato dell’elettricità, che è d’importanza decisiva per la società; Schengen è un altro tema centrale, sul quale vecchie posizioni di sinistra all’improvviso non vengono più ricordate. Ora, che siano tali questioni da intellettuali o meno, credo che chi si autodefinisce di sinistra deve in un certo senso essere un intellettuale. Deve cioè essere pronto a confrontarsi con questo mondo.
Ma la Woz è in crisi. Ma che genere di crisi è?
Mühlberger: È soltanto una crisi finanziaria. Un po’ anche strutturale, ma soprattutto finanziaria. Abbiamo lanciato una campagna di raccolta di fondi, che procede con successo; ed abbiamo cominciato a ridurre i costi, a riesaminare l’organizzazione della redazione.
Si è parlato di licenziamenti…
Mühlberger: È una questione importante per noi. Sappiamo di essere in troppi, ma abbiamo un processo decisionale collettivo. Tuttavia dobbiamo decidere. Non è assolutamente una bella cosa, ma dobbiamo decidere. Boos: Ciò che possiamo fare è di rendere trasparente tutto il processo decisionale che cercheremo di concordare con i sindacati.
Qui prendete tutti lo stesso stipendio. Continuerete così anche in futuro?
Boos: È vero, i salari sono uguali per tutti ma anche molto bassi. Ma per me è importante che ogni persona che lavora abbia lo stesso valore, indipendentemente dalle sue mansioni che svolge. La questione è però che cosa può fare una persona che abbia bambini da crescere, con un salario così basso. La diversificazione dei salari è una questione difficile, ma che dobbiamo affrontare. scheda Tra i “frutti” del movimento giovanile del 1980, c’è anche il settimanale Woz (acronimo di “Wochenzeitung”, che vuol dire, appunto, “settimanale”). È una pubblicazione severa, rigorosa nella forma come nei contenuti, povera di mezzi finanziari ma ricca di qualità professionale. Fondata nel 1981 da un gruppo di giornalisti che si erano uniti in cooperativa, la Woz è un giornale che appartiene a chi vi lavora, ed è indipendente da qualsiasi partito, organizzazione o editore. Oggi la Woz è l’unico giornale sovraregionale di sinistra della Svizzera tedesca. Nonostante la modesta tiratura (15 mila copie vendute), il giornale è molto letto, cioè passa di mano in mano, per cui il numero di lettori effettivi è calcolato intorno a 110 mila. I lettori potenziali vengono comunque stimati sui 300 mila. Come in tutte le pubblicazioni di sinistra, la pubblicità è scarsa e la somma di bilancio si aggira intorno ai 3 milioni e mezzo di franchi all’anno. Pochi, se si pensa che la Woz occupa 55 persone, di cui 20 giornalisti. La redazione è guidata da due giornalisti eletti dall’assemblea dei redattori; e l’intera azienda è affidata a due membri di direzione eletti dall’assemblea dei soci della cooperativa, a cui appartengono tutti quelli che vi lavorano a tempo pieno o parziale non inferiore al 50 per cento, cioè la maggioranza dei collaboratori. È chiaro che la Woz conta su un certo numero di lettori affezionati e soprattutto sui 700 membri dell’associazione di sostegno, che garantiscono una base sicura al finanziamento. In questi anni di minori introiti pubblicitari per la stampa, la Woz ha sofferto in modo particolare, e nelle ultime settimane s’è parlato persino di licenziamenti. Ma la crisi sembra, almeno per il momento, superata.
Pubblicato il
08.07.05
Edizione cartacea
Anno VIII numero 27-30
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