Holcim, il gigante mondiale del commercio del cemento con solide radici in Svizzera, festeggia il suo primo secolo di vita. E lo fa spacciandosi per allievo modello per quanto riguarda la responsabilità sociale d'impresa. Un vanto fuori luogo, denunciano Unia e diverse organizzazioni non governative: le società controllate da Holcim nel mondo si distinuguono in realtà per le frequenti violazioni dei diritti dei lavoratori e per gravi forme di inquinamento ambientale.
Nel corso di quest'anno la Holcime festeggia i cent'anni di esistenza (cfr. riquadrato). E lo fa senza badare troppo a spese. Ad esempio allestendo una mostra con le immagini commissionate a tre fotografi di fama internazionale esposte al Kunstmuseum di Berna. Due di loro, i tedeschi David Hiepler e Fritz Brunier, specializzati nell'architettura industriale, hanno girato il mondo per fotografare gli stabilimenti produttivi di Holcim sparsi nei cinque continenti. Il terzo, il ritrattista svizzero Markus Grob, ha fatto altrettanto per fotografare i lavoratori di Holcim: il libro con i suoi ritratti sarà regalato a tutti gli 80 mila dipendenti del gruppo Holcim. Una mostra, quella di Berna, che si limita a celebrare Holcim senza mantenere alcuna distanza critica. Del resto le fotografie esposte sono pura estetica: gli stabilimenti industriali sono ridotti a forme gemetriche, mentre i lavoratori non sono ritratti sul posto di lavoro o nel loro ambiente sociale, ma di fronte ad un fondo neutro. La fotografia di propaganda sovietica non avrebbe saputo fare di meglio. E del resto che un'istituzione pubblica come il Kunstmuseum di Berna si sia prestato a questa acritica celebrazione ha anche suscitato un acceso dibattito in città. D'altro canto, da tempo un buon numero di organizzazioni non governative e di sindacati (fra cui Unia) denunciano la contraddizione fra lo spirito illuminato che vanta Holcim e la prassi della multinazionale svizzera del cemento nei suoi diversi siti di produzione. Particolarmente urtante ad esempio è il comportamento di Holcim in India, Paese in cui è presente dal 2005. E da allora non ha fatto nulla per migliorare le condizioni d'impiego del personale delle sue partecipate, la Acc e la Ambuja Cement. In queste due affiliate di Holcim è estremamente diffuso il lavoro precario: i dipendenti sono sempre assunti con contratti di lavoro temporaneo, e tale rimane il loro statuto anche per decenni. Per regolarizzare la loro situazione questi lavoratori sono in lotta da più di vent'anni. E lo scorso anno gli operai temporanei dello stabilimento della Acc di Bhilai, nello stato del Chattisgarah, sono scesi in sciopero (cfr. area n. 6 del 15 aprile 2011, pag. 10). Inutilmente. Per questo, proprio in occasione dei festeggiamenti per i cent'anni di Holcim, una delegazione sindacale è giunta in queste settimane in Svizzera. L'obiettivo è di mantenere alta la pressione su Holcim per fare in modo che la casa madre imponga alle sue affiliate di rispettare i diritti dei loro dipendenti. La situazione nelle fabbirche di cemento in India effettivamente è drammatica, come testimonia Shalini Gera, rappresentante del Sindacato dei lavoratori temporanei dei cementifici indiani Pragatisheel Cement Shramik Sangh: «nel solo stabilimento di Jamul, che fa capo alla Holcim, l'80 per cento dei salariati sono precari e guadagnano solo un terzo del salario dei pochi colleghi assunti con un contratto di lavoro regolare». Una prassi che viola sia la legislazione indiana, sia un accordo tripartito fra le ditte produttrici di cemento, i sindacati e il governo. Prassi per la quale la Holcim è già stata condannata in seconda istanza in India con l'ingiunzione di assumere direttamente tutto il suo personale precario. Sentenze contro cui la Holcim ha interposto ricorso alla Corte suprema. Ma non è soltanto in Asia che il comportamento di Holcim viola i più elementari diritti delle popolazioni e dei dipendenti locali. In Guatemala ad esempio la multinazionale svizzera attraverso la Cementos progreso, di cui detiene il 20 per cento del capitale azionario ma di cui controlla direttamente la direzione, viola i diritti delle popolazioni indigene che si oppongono all'apertura di un nuovo cementificio: più volte delle bande armate composte da impiegati della Holcim hanno attaccato la popolazione locale per intimorirla. In Argentina le ciminiere delle fabbriche Holcim emettono nell'aria della diossina cancerogena, mentre in Colombia dei quartieri interi sono regolarmente allagati o hanno subito degli smottamenti di terreno dopo che dei corsi d'acqua erano stati deviati per alimentare la produzione di cemento.
Un impero della famiglia Schmidheiny
Fondata nel 1912 nel villaggio argoviese di Holderbank, di cui fino al 2001 ha portato il nome, la storia della Holcim è legata a doppio filo a quella della famiglia di industriali Schmidheiny, quella che attraverso la Eternit ha controllato per decenni il commercio mondiale dell'amianto. Thomas Schmidheiny, invischiato nel fallimento di Swissair, strenuo sostenitore del regime dell'apartheid in Sudafrica e fratello dello Stephan condannato a 16 anni di detenzione al processo Eternit di Torino, ha presieduto il consiglio di amministrazione della Holderbank fino al 2001, quando l'impresa incassò una serie di condanne nel mondo intero per violazione delle leggi sulla concorrenza. Il nuovo nome Holcim doveva anche significare un nuovo inizio per la multinazionale del cemento. Dopo il suo ritiro dalla conduzione operativa, Thomas Schmidheiny ha mantenuto la proprietà del 18,2 per cento del pacchetto azionario, oltre ad un posto nel consiglio d'amministrazione. Altri grossi azionisti sono il gruppo russo Eurocement facente capo all'oligarca Philaret Galchev (6,5 per cento) e la società d'investimenti americana Capital Group (5 per cento). Circa il 50 per cento del capitale azionario è in mani svizzere. Dal 2003 il consiglio d'amministrazione è presieduto da Rolf Soiron, noto per essere anche presidente del consiglio di fondazione di Avenir Suisse, il "think tank" della destra economica svizzera. La direzione del gruppo è guidata da Markus Akermann. |