Dopo la votazione sul salario minimo, una ragazza di Cantù, impiegata in uno dei negozi del Fox Town – quello che fa lavorare le domeniche, in barba alla legge – scrive su Facebook “svizzeri di m…, avreste dovuto votare sì”. Da quel momento, un diluvio di insulti, molti pesantissimi, molti con brutali riferimenti sessuali, e una ripresa della infelice uscita della ragazza da parte di un consigliere nazionale e mente di un raffinato domenicale che si domanda se la ragazza non sia punibile ai sensi dell’articolo 261 bis del Codice penale. Quello che sanziona gli atti di razzismo e di discriminazione: non applicabile, per esempio, secondo una sentenza, se un poliziotto dice a uno “asilante di m…”, ma secondo il nostro giusperito in questo caso sì: essendo, come è noto, svizzeri e asilanti fatti di materia diversa, ancorché accomunati nell’insulto alla universale deiezione.


La cosa che colpisce, e che colpisce nel leggere i commenti al caso Arlind, o all’espulsione di una donna senegalese con i suoi figli, è appunto la virulenza delle reazioni. Reazioni di odio, di cieco furore contro chi è identificato come corpo estraneo a una sedicente “comunità elvetica” o “ticinese”. Molti, troppi patrioti che impazzano sul web, e che (spesso in termini alquanto incerti) sproloquiano su un paese inventato, brutta parodia di una cittadella della paura circondata a nord e a sud da barbari, dai quali spesso essi stessi provengono – ma lo hanno rimosso, in un vero e proprio disturbo collettivo, quando non addirittura rinnegato: poveri stolti, che non sanno che senza radici, senza storia, la loro, non sono niente.

 

Da queste centinaia di insulti si disegna un quadro sociologico che mi piacerebbe qualcuno ci aiutasse a capire; si disegna una Svizzera voluta come isola murata, protetta dal contagio straniero e dal fantasma socialista: che, nella grottesca narrazione rovesciata che i pifferai mestatori hanno costruito per le menti semplici, ha distrutto e corrotto il nerbo della nazione: e parliamo del secondo partito svizzero, che ha costruito lo Stato sociale!.

 

Un triste e cupo Paese, la cui esistenza è possibile solo se in totale isolamento da tutto e tutti e se espelle l'elemento spurio, il colpevole dell'affronto: quello di instillare il dubbio che possa esistere anche l'altro da sé, e che questo incontro possa smuovere vita. Un povero coro di voci rabbiose, infelici e sole. Sarebbe ora di fare sentire forte una voce diversa, che dice che loro non mi rappresentano, non parlano in nome di un’altra Svizzera che c’è, e che di questo odio e furore ha orrore e pena e sa reagire.

Pubblicato il 

22.05.14

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