Vittime in attesa di qualche diritto

Una vita di lavoro a contatto con agenti nocivi per la salute e dopo venti, trenta o  quarant'anni la scoperta della malattia e la beffa: per avviare una causa di risarcimento (per esempio nei confronti del datore di lavoro responsabile per l'esposizione al rischio) è troppo tardi poiché  la legge svizzera concede un termine massimo di dieci anni a decorrere dall'evento dannoso. Sono storie di questo tipo quelle che fanno da sfondo al dibattito in corso da anni a livello federale sulla revisione del cosiddetto diritto in materia di prescrizione, su cui il Consiglio federale dovrebbe presentare al Parlamento,  probabilmente nel corso del 2013, le necessarie modifiche di legge.

La sfida è quella di rimediare a una situazione insostenibile, che dà alla Svizzera un triste primato nel confronto internazionale e che attualmente colpisce in particolare le vittime dell'amianto, le cui malattie tipiche (in particolare il mesotelioma) hanno un lungo periodo di latenza: questo fa sì che le azioni di risarcimento cadano di regola in prescrizione ancor prima che la persona si renda conto di essere stata danneggiata. Ora però il Consiglio federale, che ha ricevuto un mandato preciso in questo senso dal Parlamento, ha il dovere di trovare una soluzione adeguata a meglio tutelare queste e tutte le altre vittime di danni tardivi o permanenti.
In che modo lo farà è però ancora tutto da stabilire: a fine agosto il governo ha incaricato il Dipartimento federale di giustizia e polizia di elaborare una proposta definitiva da sottoporre al Parlamento, anche sulla scorta dei risultati di un'ampia consultazione tenutasi l'anno scorso che ha coinvolto Cantoni, partiti e decine di organizzazioni. Consultazione da cui emerge «il consenso di una maggioranza relativa di partecipanti» attorno all'idea di portare a 30 anni il termine di prescrizione per far valere in sede civile pretese di risarcimento e di riparazione per danni alle persone, ma anche profonde divergenze, in particolare per quanto riguarda il momento dal quale deve iniziare a decorrere il termine di prescrizione (quello dell'esposizione al richio oppure quello della presa d'atto del danno) e sull'ipotesi di un'applicazione retroattiva delle nuove norme (ai casi prescritti ai sensi del vecchio diritto ma non secondo il nuovo).
Aspetti questi che possono essere determinanti per le vittime dell'amianto: se si tiene conto che in Svizzera l'utilizzo di questo materiale killer è stato bandito nel 1990 (anche se alcune aziende hanno beneficiato di deroghe e sono andate avanti per anni a lavorarlo) e che l'esposizione alle polveri di molti lavoratori e cittadini (in particolare familiari di lavoratori e persone vissute nei pressi degli stabilimenti industriali) è in gran parte avvenuta nei decenni precedenti, le nuove norme sulla prescrizione (la cui entrata in vigore non è pensabile prima del 2016 o del 2017) rischiano di giungere fuori tempo massimo per la gran parte delle vittime. Soprattutto se ci si limitasse a portare da 10 a 30 anni il termine di prescrizione per i danni alle persone, come sembra indicare il parere della maggioranza dei partecipanti alla consultazione.
Questo è il grande timore del cofondatore dell'Associazioni delle vittime dell'amianto, l'avvocato Massimo Aliotta, che è anche uno dei massimi esperti in Svizzera in diritto della responsabilità civile: «Se la proposta del Consiglio federale seguisse le indicazioni della maggioranza dei partiti, della lobby industriale e di quella assicurativa, la modifica di legge si ridurrebbe a una presa in giro delle vittime». «I trent'anni di prescrizione per i danni alle persone -aggiunge Aliotta- sono solo una "foglia di fico", un piccolo passo in avanti, ma insufficiente per la gran parte delle persone, che si ammalano anche dopo 35, 40 o addirittura 50 anni. A queste condizioni potrebbero ottenere il diritto a risarcimenti solo chi lavorerà con l'amianto in futuro (praticamente nessuno, visto che è bandito dal 1990 e che un suo utilizzo è soggetto ad autorizzazioni speciali rilasciate col contagocce, ndr) e quelle poche già esposte che si ammalano dopo soli 25 anni. Un'assurdità: Qualcuno mi deve spiegare perché si dovrebbe risarcire un lavoratore che si ammala dopo 29 anni e non il suo collega a cui tocca la stessa identica sorte ma dopo 31 o 35».
Secondo Aliotta per garantire reali diritti alle vittime dell'amianto è indispensabile far decorrere il termine di prescrizione dal momento in cui una persona scopre il danno alla salute (e non da quando è stata esposta alla sostanza dannosa), «esattamente come prevedono le leggi in vigore in paesi come Inghilterra, Francia e Italia. Non vedo perché la Svizzera debba continuare a fare altrimenti. In questo modo si renderebbero di fatto imprescrittibili le azioni di risarcimento (sia per i danni alla salute sia per i danni finanziari che ne conseguono), ma è solo così che si può risolvere il problema. Certo la grande industria e le assicurazioni non ne vogliono sapere perché temono di essere chiamate un giorno alla cassa, non solo per i danni tardivi causati dall'amianto ma anche per quelli che produrranno (non sappiamo ancora tra quanti anni) le nanoparticelle per esempio».
«Il governo e il Parlamento - conclude Aliotta - ha d'altro canto il dovere di tenere conto di quanto è successo in passato e di quanto potrà capitare in futuro con nuove forme di malattie con una lunga latenza».
Tutto dipenderà dunque dalla volontà politica. Resta il fatto che la modifica di legge dovrà dar seguito ad un mandato preciso contenuto in un'iniziativa parlamentare approvata dalle Camere federali nel 2008 che chiede di trovare una soluzione in grado di «garantire il diritto al risarcimento anche per i danni tardivi».
E se ciò non risultasse possibile attraverso una modifica dei termini di prescrizione, si vocifera, potrebbe anche rispuntare l'ipotesi di istituire un fondo nazionale per le vittime dell'amianto (magari alimentato da quelle imprese che in passato hanno lavorato con questo minerale), sul modello di quelli esistenti in Francia e Olanda.
In ogni caso, è auspicabile che si agisca un po' in fretta, perché più il tempo passa più numerosi diventeranno i casi di giustizia negata.

Pubblicato il

14.09.2012 03:00
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