di Tita Carloni
architetto

Noi siamo abituati a vedere il territorio diviso in due: le zone urbanizzate (città, periferie, villaggi, strade) e le zone di natura (valli, montagne, fiumi, laghi). Ma non è esattamente così. Le zone di natura sono spesso diventate, o stanno diventando, luoghi al servizio delle concentrazioni urbane che ne sfruttano le risorse o le usano senza alcun ritegno per i loro svaghi.
Le città hanno tra l'altro una gran fame d'energia che vanno a cercare dappertutto. Prendiamo per esempio la Val d'Ambra, una sconosciuta valle laterale della Leventina, ancor oggi quasi intatta, situata sopra Personico, dove le antiche e già scarse attività alpestri si sono estinte da tempo e dove attorno al 1960 l'Aet aveva costruito un bacino di 400 mila metri cubi per la produzione di elettricità. Ora v'è il progetto di costruire una nuova diga per un bacino di 2,8 milioni di metri cubi, che non raccoglierà altra acqua di quelle montagne (è già stata sfruttata tutta) ma riceverà la stessa acqua pompata su dal fondovalle, che sarà poi fatta ricadere di nuovo nelle condotto forzate. Ma per pompare l'acqua verso l'alto occorre corrente elettrica. La compreranno quando costa poco, di notte, magari dalle centrali a carbone dei paesi dell'est o dagli impianti nucleari francesi. Poi venderanno l'energia nuovamente prodotta quand'è molto richiesta, a caro prezzo, realizzando un lauto guadagno. E l'acqua, giù e poi su, su e poi giù, sarà quasi sempre la stessa.
Ricordo di essere passato anni fa in Cecoslovacchia e d'aver visto intere foreste morte con scheletri neri di alberi ritti in piedi, su una terra cosparsa di polvere di carbone (era così anche in città) proveniente dalle centrali elettriche, dalle industrie, dai riscaldamenti. Quelle foreste morte erano un'immagine simmetrica rispetto alle aree urbanizzate, ingorde di energia e sprecone in tutto.
Bisogna inoltre considerare che il danno in Val d'Ambra non sarà solo la diga ma anche la costruzione di una strada d'accesso per grossi autocarri, con disboscamenti, ripiene, danni irreparabili ad un prezioso ecosistema ricco di specie animali e vegetali rare. Colpisce anche il fatto che a compiere l'operazione sia un'azienda pubblica come l'Aet e che il Piano direttore cantonale preveda lassù una zona naturale protetta "in via preliminare", in attesa di vedere se sarà consolidata in via definitiva o se sarà semplicemente cancellata: insomma un bell'esempio di pianificazione flessibile come si usa dire oggi.
Un cittadino sensibile e colto, da solo, ha quindi lanciato una petizione per la salvaguardia della valle che ha già raccolto più di duemila firme. Firmate questo appello, la pressione popolare in simili casi è fondamentale.
Ed ora un altro esempio delle conseguenze derivanti dall'estensione su tutto il territorio delle esigenze di mobilità urbana esasperata. Tra Intragna e Verdasio c'è uno splendido ponte ad archi in pietra che attraversa a sessanta metri di altezza la Valle d'Ingiustria. Su di esso corre la mitica ferrovia centovallina. Sotto si snoda e s'insinua, restringendosi, nella cosiddetta Vallascia, la strada cantonale. È un esempio bellissimo d'incontro tra la natura e l'arte ingegneristica degli inizi del '900. Ora, con la modica spesa di cinque milioni di franchi, il Cantone intende costruire un nuovo viadotto per la strada, diritto, così da consentire a chi la percorre di guadagnare una spruzzatina di secondi. A guadagnare questa inezia di tempo sarebbero più che altro i frontalieri di Val Vigezzo e di Val d'Ossola che non hanno chiesto niente ed hanno ben altri problemi per la testa. Quali sono allora i moventi del previsto intervento? Forse solo l'applicazione miope di qualche direttiva sui raggi di curvatura, i calibri, i raccordi, le pendenze, oppure (e non sorprenderebbe) la fame di appalti pubblici delle solite imprese per le sottostrutture, le pavimentazioni, i guard-rails, la segnaletica e via distribuendo?
Esiste una ragione seria per l'alterazione di un pezzo di paesaggio di raro equilibrio come l'imbocco della Valle d'Ingiustria?
Che senso ha allargare e rendere scorrevoli certe strade quando altrove, giustamente, si fa di tutto per rallentare il traffico, per contenere le emissioni di Co2, per ridurre tutte quelle attività o interventi che concorrono a peggiorare i già compromessi equilibri climatici, e non solo, del pianeta?
Il problema è oggi di riuscire a contenere la crescita, a prima vista inarrestabile, delle zone urbanizzate, ma anche di frenare energicamente le ricadute che essa provoca sull'insieme del territorio, in particolare sulle zone di natura. In realtà il catalogo dei progetti che circolano con la benevolenza delle autorità preposte alla tutela del territorio spaventa: porta alpina, mega-impianti turistici egiziani ad Andermatt, super-ascensore alto come il Cervino nelle sue immediate vicinanze, nuovi impianti di risalita e cannoni da neve un po' dappertutto (mentre il clima si surriscalda e di neve non ce n'è quasi più), albergo scemo e centro wellness in cima al Sighignola, parchi acquatici cretini ovunque posti.
Ed allora firmate, cittadine e cittadini, firmate almeno per la Val d'Ambra.

Pubblicato il 

30.03.07

Edizione cartacea

Rubrica

Nessun articolo correlato