Se i risultati dell’elezione per il Gran Consiglio ticinese ridimensionano in parte l’avanzata della sinistra, resta inconfutabile un dato: il 6 aprile segna una sconfitta per l’asse liberal-leghista tutto luganese che ha dominato la politica cantonale negli ultimi otto anni. Forse sul piano della politica concreta non cambierà molto, visto che il governo è stato riconfermato per intero e che il nuovo parlamento è in gran parte la fotocopia di quello uscente. Ma l’elezione del Consiglio di Stato, trasformatasi in una sorta di referendum sulle politiche menostatiste condotte dalla maggioranza, indica chiaramente l’esaurimento della spinta che otto anni fa, sull’onda del “dobbiamo cambiare” masoniano, aveva portato il Plr luganese e la sua costola leghista a determinare i destini del Cantone. Il 2007, dopo tre legislature, potrebbe essere l’anno della resa dei conti. In campagna elettorale il confronto fra destra e sinistra all’interno del governo s’è tradotto in uno scontro fra l’alfiera del liberismo nostrano Marina Masoni e la socialista Patrizia Pesenti. L’esito delle urne è chiaro: Masoni è la candidata al governo che ha raccolto meno voti personali, ed è stata superata nettamente nelle preferenze sia da Pesenti che dal compagno di lista Gabriele Gendotti che, finora almeno, non ha fatto molto per passare alla storia come un grande statista. Al di là dell’esito di questa sorta di referendum sulle politiche menostatiste degli ultimi otto anni, il tracollo della Lega è stato contenuto dalla netta progressione dell’Udc, la grossa vincitrice dell’elezione per il Gran Consiglio. Da una destra populista a una destra pura e dura: non è necessariamente un passo avanti, anche perché l’Udc ticinese spesso non è meno rozza e razzista della Lega. Una sinistra meno divisa all’appuntamento elettorale ci avrebbe forse consegnato oggi un quadro parlamentare più roseo. Un’ultima annotazione sulla partecipazione al voto. Tutti si dicono allarmati per un’elezione che non ha mobilitato nemmeno il 60 per cento degli aventi diritto. Ma il dato è meno negativo di quanto si voglia far credere: significa che i partiti ticinesi stanno perdendo il ferreo controllo sull’elettorato che avevano quando alle urne andava il 75 per cento dei cittadini. Oggi anche in Ticino gli elettori devono essere convinti del voto che esprimono: e questo dà ancora più valore all’affermazione della sinistra a queste elezioni.

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