SocialitĂ 

Sbagliare è cosa umana, ma fortunatamente è possibile rimediarvi. A tre mesi dall’entrata in vigore delle modifiche alla legge sugli assegni familiari, il governo ha corretto il tiro. Lo ha fatto eliminando la norma più odiosa, quella che alla discriminazione economica aggiungeva quella di provenienza. «Per i cittadini stranieri, un soggiorno ininterrotto in Svizzera negli ultimi cinque anni sulla scorta di un permesso di dimora (permesso B) è parificato al possesso del permesso C» recita il nuovo articolo 35 del suddetto regolamento pubblicato a fine marzo. Poiché il titolare del permesso C deve averlo da almeno tre anni per poter beneficiare degli assegni integrativi e di prima infanzia, chi ha il permesso B deve avere vissuto almeno 8 anni ininterrottamente in Svizzera.


Un tempo di attesa lungo, ma decisamente migliorativo delle norme approvate dal Gran Consiglio a metà dicembre, nelle qualiß i detentori di permesso B erano semplicemente esclusi dal diritto agli assegni, indipendentemente da quanto tempo fossero residenti in Svizzera.
Proprio la discriminante del permesso è oggetto del ricorso sulla legge inoltrato dagli avvocati Rosemarie Weibel e Mario Amato del Sos. Nel campo della sicurezza sociale in Svizzera esiste il concetto di lunga durata, per nulla equivalente alla tipologia di permesso, fanno notare i due legali.
Dei 30.000 cittadini con permesso B residenti in Ticino, una parte importante vive in Svizzera da anni, vedi decenni. Escluderli per il permesso senza tener conto della durata della residenza era una discriminazione ingiustificabile.

 

Il ricorso è però solo una delle spiegazioni possibili del cambio di rotta del Governo.
Da quanto appurato da area, l’impatto delle modifiche è risultato talmente devastante per le famiglie da aver indotto i servizi del Dipartimento sanità e socialità (Dss) a suggerire l’equiparazione del permesso B al C dopo cinque anni nel Regolamento. Il Governo l’ha accolta all’unanimità senza batter ciglio.
La nuova legge sugli assegni aveva scatenato una protesta inedita nel cantone. A fine febbraio padri e madri si erano presentati ai cancelli del palazzo delle Orsoline, mentre era in corso la seduta del Gran Consiglio. Al presidente del parlamento, Luca Pagani, fu consegnata una petizione in cui si chiedevano dei correttivi alla nuova legge, rendendolo partecipe dei nefasti effetti causati. «Con la vostra riforma avete creato una situazione drammatica e pesante a moltissime famiglie in Ticino, famiglie che senza alcun avviso da parte dell’ufficio preposto si sono ritrovate dall’oggi al domani con gli assegni ridotti drasticamente ma con le stesse spese dei mesi precedenti» scrivevano nella missiva allegata alla petizione (si veda articoli correllati).


Come è stata accolta dal gruppo spontaneo dei genitori la notizia del nuovo regolamento? area lo ha chiesto ad Alex Rossi*, uno dei promotori della petizione. «La recente modifica sui permessi B è un passo avanti. Rimane però in sospeso la grave questione del reddito ipotetico – spiega il portavoce del gruppo –. Quest’ultimo colpisce in modo pesante famiglie già in difficoltà economiche per i noti problemi del mercato del lavoro. Ad alcune sono stati ridotti fino a due terzi gli assegni. E questo da un giorno all’altro, col passaggio dell’anno, lasciandole letteralmente sul lastrico. Così facendo sono stati violati degli articoli costituzionali, la Convenzione internazionale sui fanciulli ratificata dalla Svizzera e, non da ultimo, lo spirito della legge approvata all’unanimità dal Gran Consiglio nel 1996».


Per reddito ipotetico s’intende  lo stipendio teorico a tempo pieno calcolato sulla paga realmente ricevuta da un lavoro a tempo parziale. Se il concetto di reddito ipotetico era già presente nelle disposizioni precedenti, con le nuove norme sono sparite le eccezioni che consentivano di ridurlo. La nuova applicazione restrittiva del reddito ipotetico ha spinto diverse famiglie in una situazione di emergenza talmente grave da doversi ora rivolgere all'assistenza. La misura colpisce soprattutto le famiglie svizzere o domiciliate, perché i titolari del permesso B rischiano l’espulsione se si rivolgono all’assistenza pubblica.


Per il gruppo spontaneo di famiglie promotrici della petizione sarebbe auspicabile ripristinare le legge precedente, seppur con dei correttivi, come spiega Rossi: «La vecchia legge era ben strutturata, rispettosa dei diritti costituzionali. Dei margini di miglioramento per evitare gli eventuali abusi sono sempre possibili. Ma nel modo in cui l’hanno modificata, colpiscono duramente le famiglie senza distinzioni. Si può comprendere che nel periodo di ristrettezze economiche ci siano dei risparmi da fare. Ridurre però improvvisamente fino a due terzi le entrate economiche di una famiglia già in condizioni precarie, vuol dire rovinarla».


Il gruppo dunque non demorde. Alla petizione ora segue un incontro con i capigruppo del parlamento ticinese per spiegare loro le conseguenze delle modifiche. «Certo, la nostra battaglia   continua. Si tratta di famiglie, di padri, madri e bambini in carne ed ossa, non numeri, messe in ginocchio. Non è solo una questione di umanità verso di loro, ma di quale società vogliamo costruire» conclude Rossi.


*nome del nick name su Fb, la cui identità è nota alla redazione

Pubblicato il 

07.04.16