Una lezione di civiltà

Centinaia di giovani sono scesi in piazza settimana scorsa a Bellinzona per gridare il loro no all’espulsione dalla Svizzera di un ragazzo diciassettenne di origine kosovara nato e cresciuto in Ticino, ma che, secondo una legge disumana e assurda applicata biecamente da qualche funzionario al servizio del leghista Norman Gobbi, andrebbe strappato all’affetto della madre e rispedito nel suo paese di origine. Un paese che non è più il suo e dove non ha più nessuno.


Grazie a questa mobilitazione, supportata da una petizione che ha raccolto oltre 1.600 firme in pochi giorni e a cui sono seguite delle iniziative sul piano politico, il rimpatrio forzato del giovane è per ora scongiurato.
A queste ragazze e a questi ragazzi va dunque un plauso, non solo perché hanno ottenuto la sospensione di una decisione incomprensibile agli occhi di chiunque abbia un minimo di buonsenso, ma anche e soprattutto perché hanno impartito una grande lezione di civiltà.

 

Una lezione alle autorità, alla classe politica e alla popolazione adulta che, con le loro decisioni in materia di politica migratoria prese negli ultimi decenni, hanno spianato la strada alla violazione sistematica dei diritti dell'uomo e a ogni forma di arbitrio, di cui il caso del ragazzo ticinese (non possiamo definirlo altrimenti, visto che in Ticino è nato, in Ticino ha vissuto i primi anni della sua vita, in Ticino è domiciliata sua mamma da cui è tornato dopo essere stato abbandonato dal padre, in Ticino ha frequentato una scuola e in Ticino è perfettamente integrato!) è solo la punta di un iceberg.


L’indignazione dei giovani ticinesi di fronte al trattamento disumano subito dal loro compagno di scuola, dal loro amico, dal loro vicino o semplicemente dal loro coetaneo (che giustamente chiamano «uno di noi») è spia di una presa di coscienza della brutalità della realtà che li circonda e un richiamo autentico, spontaneo e forte all’insieme della società.


Con il loro gesto hanno mostrato il volto di un Ticino che vuole dire basta alla xenofobia e al razzismo di Stato e riappropriarsi di quella cultura dell’accoglienza che ha segnato la storia passata di questo cantone.  
In una realtà in cui certi soggetti con responsabilità politiche e di governo continuano ad alimentare l’insofferenza nei confronti dello straniero, la reazione che qui abbiamo ricordato è un piccolo grande segnale di speranza. Ma anche un gesto che fa onore a una generazione troppo spesso e ingiustamente additata per le sue esuberanze.
Ci pareva giusto sottolinearlo.

Pubblicato il

18.12.2013 19:36
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